I Testimoni di Geova e lo studio della Bibbia non può e non deve essere ascritto all’ormai interminabile pletora di libri, saggi, commenti, analisi e ogni sorta di altro materiale che è stato scritto su questo movimento religioso. Molti dei libri circolanti sul movimento sono dovuti alla penna di ecclesiastici (spesso parroci che vorrebbero “proteggere” il gregge) o di ex Testimoni per un motivo o per l’altro allontanatisi dal gruppo. Spiace dover dire che nella stragrande maggioranza di entrambi i casi, raramente, molto raramente, si tratta di opere di qualche valore, spesso invece sono infarcite di errori, scritte in un italiano approssimativo e minate alla base da un insanabile “conflitto di interessi”: da parte del clero, perché parte in causa e spesso all’oscuro dei meccanismi interni della comunità; da parte degli ex, perché spesso incapaci di scrivere facendo astrazione dai loro personali sentimenti frequentemente intrisi di amarezza e a volte desiderosi, rientrati nella chiesa di originaria appartenenza, di mostrarsi “più realisti del re”; tutti sono poi, spesso, accomunati da un grave vulnus: la mancanza di erudizione, che ne annulla ogni eventuale pregio che non sia quello della narrazione di un’esperienza.
Il caso dei nostri Autori, Aveta e Vona, è affatto diverso. In quasi quarantacinque anni della mia vita trascorsa ho avuto modo di leggere molto di quello che è stato scritto sui Testimoni di Geova: dalle indagini sociologiche di Stark, Iannaccone, Holden e Daniels, ai preziosi libri di M. James Penton e Raymond V. Franz; il libro di Aveta e Vona si ascrive però in una categoria a parte. Caratterizzato da una imponente bibliografia, sia di opere di difficile reperimento edite dalla Watchtower Society, che dalle firme più prestigiose nel campo della storiografia, dell’archeologia, della linguistica e della semantica bibliche, il libro, nonostante la sua profonda erudizione, scorre sotto gli occhi del lettore, catturandone a tal punto l’attenzione da costringerlo a non smetterne la lettura sino alla fine.
Ma, a mio parere, uno dei suoi grandi meriti è quello di aver saputo intelligentemente coniugare due elementi apparentemente molto distanti fra loro: il fondamentalismo incolto e privo di ogni capacità di analisi critica dei Testimoni di Geova, con gli studi più attendibili e avanzati nel campo dell’erudizione moderna. A mo’ d’esempio possiamo richiamare l’attenzione su un argomento che i Testimoni di Geova, con la loro ossessiva ripetitività, hanno trasformato in una sorta di mantra: quello del nome di Dio, che è la bandiera e il marchio di fabbrica del movimento. Gli Autori sono riusciti a fare astrazione dalla sterile e ormai inutile disputa — dato che il problema della corretta pronuncia e della sua presenza nel testo è stato risolto — e sono riusciti a trattare un argomento che, privo delle esasperate connotazioni confessionali, è affascinante, e a trasportarci con leggerezza nel mondo dal quale, in millenni di storia, si sono sviluppate le trame linguistiche e storiche che fanno luce sulle antiche civiltà e sul loro modo di rapportarsi con le loro divinità; è come essere saliti su una giostra per bambini e trovarsi proiettati in un mondo ormai scomparso nel quale gli Autori, prendendoci per mano, ci guidano nella comprensione di popoli, di tradizioni, di culture ormai sepolti dalla polvere dei millenni, presentandoli scintillanti e pieni di vita ai nostri occhi.
È un diletto, poi, vedere la maestrìa e la levità con le quali, grazie a loro, si riesce a entrare in un campo solitamente difficile da percorrere: quello della storicità dei personaggi biblici, come Mosè e Abramo, per esempio, usando quindi gli spunti tratti dalle infantili favolette geoviste, per aiutare noi a crescere nella conoscenza di argomenti che ci arricchiscono, dandoci modo di gettare uno sguardo informato su un mondo verso il quale fin troppo spesso dimentichiamo d’esser debitori; è a quel mondo che dobbiamo molta della nostra cultura, del nostro retaggio, la nostra lingua; ed è grazie alle capacità affabulatorie degli Autori che abbiamo gioito riscoprendo il piacere che dà il ritorno alle origini, presi come siamo dalla cupezza dei tempi attuali.
I Testimoni di Geova e lo studio della Bibbia si trasforma così in un pregevole: NOI e lo studio della Bibbia, e non solo della Bibbia, ma di tutto il mondo che l’ha generata e che non ha inizio certamente nel 4026 a.C. con Adamo ed Eva, come vuole la vulgata geovista, ma che spazia fra grandi civiltà del passato: la sumerica, l’accadica, l’egizia, la babilonese, la fenicia, la greca, alle quali tutti siamo debitori per ciò che siamo, e quindi agli Autori per avercelo ricordato.
Usciamo molto più ricchi dalla lettura di questo libro (confesso che mi ha quasi causato una crisi da sforzo di assimilazione) e non solo perché ci ha rivelato in modo magistrale gli arcana acta grazie ai quali i Testimoni di Geova indottrinano se stessi e gli ignari, ma perché ci ha riaccostato ad un mondo prezioso: quello del sapere, senza il quale il confine tra noi e gli altri viventi a quattro zampe diventa molto labile. E ne usciamo anche arricchiti dal punto di vista umano perché la sua lettura ci consente di gettare uno sguardo dal di dentro su una realtà — paradigmatica di molte altre simili — che ci disvela un mondo che scorre parallelo al nostro, ma intriso di oscurantismo, di superstizione e della totale mancanza di quell’empatia che caratterizza chi — forte delle sue certezze e della sua appartenenza — considera il resto degli esseri umani come una massa informe da spazzar via senza rimpianto alcuno con qualche catastrofe, sia essa un diluvio, l’apocalisse o Armaghedon, nel nome di un Dio onnipotente e misericordioso! È un mondo che vive in totale opposizione al saggio detto di Gesù che, lungi dal settarismo che caratterizza i Testimoni e tanti altri come loro, seppe rispondere — inascoltato — a chi gli diceva, e gli dice: «Abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato perché non era dei nostri. Ma Gesù disse: non glielo proibite … chi non è contro di noi è per noi». — Marco 9,38-40.
Sergio Pollina
(estratto dalla Presentazione del libro)