Un romanzo incentrato sul conflitto tra religione e legge descrive bene il racconto dello scrittore inglese Ian McEwan. Come scriveva Davide Turrini su Il fatto quotidiano del 26 novembre 2014, «”La ballata di Adam Henry” è cominciato tutto una sera che ero a cena con dei magistrati – ha spiegato McEwan al Guardian – A un certo momento il padrone di casa, Alan Ward, uno stimato magistrato, si è alzato ed è andato a prendere un volume con le sue sentenze. Mezz’ora dopo ero seduto con questo libro in mano e pensavo: “Questo è un sottogenere letterario ingiustamente trascurato”. Tra diverse sentenze che avevano di mezzo la religione mi sono imbattuto su questo adolescente testimone di Geova che rifiutava una trasfusione sanguigna necessaria per salvargli la vita. L’ho vista come una sfida, uno squarcio fra lo spirito secolare laico della legge e una fede religiosa sincera».
Protagonista del racconto è la quasi sessantenne Fiona Maye, giudice in servizio presso la Sezione Famiglia dell’Alta Corte britannica. A proposito di questo libro, Ron Charles ha scritto su The Washington Post del 2 settembre 2014: «Il romanzo non è principalmente incentrato sul radicalismo religioso né sul conflitto tra fede e scienza; piuttosto, parla del modo in cui la vita ben regolata di una donna viene sconvolta da una miscela di passione giovanile e vecchi tradimenti». Infatti, la Maye vive contemporaneamente situazioni problematiche nonché dolorose, sia nel privato che nella sua attività professionale. Nel privato, a Fiona capita la fatidica crisi di mezz’età del marito, un professore suo coetaneo; nel lavoro, le càpitano casi difficili, emotivamente molto coinvolgenti. In particolare, si deve occupare di un giovane adolescente, Adam Henry, di 17 anni e nove mesi, affetto da leucemia, bisognoso di trasfusioni di sangue che, però, gli vengono vietate dai precetti religiosi cui si adeguano anche i genitori di fede geovista. L’ospedale, dov’è ricoverato Adam, si appella all’Alta Corte. Stando alla legge britannica – il Children Act del 1989 (che dà il titolo al romanzo in lingua inglese) in difesa del minore – dovrebbe essere facile per un giudice emettere una sentenza “nell’interesse del minore”, ma la lettera della legge non basta a una persona con l’intelligenza e la sensibilità del giudice Maye, perché il “minore” non è un bambino, ma un ragazzo cui mancano solo 120 giorni alla maggiore età, ed è lui stesso ad affermare con convinzione di non volere quelle trasfusioni. Perciò Fiona decide di farsi un’idea precisa delle capacità riflessive di Adam, prima di esprimere il proprio vincolante parere, quindi entra personalmente in contatto col ragazzo, recandosi al suo capezzale; tale incontro la costringe a mettere in campo tutta la sua preparazione e tutta la sua umanità. Dopo di che impone le trasfusioni al ragazzo con provvedimento motivato.
Non mi dilungo sulla trama del romanzo, per non privare il lettore del piacere di leggere il libro, che si divora in poche ore. Personalmente sono stato colpito da un aspetto particolare della vicenda narrata: la reazione dei genitori di Adam dopo che il loro figlio era stato sottoposto alle trasfusioni ordinate dal giudice Maye. Lo stesso Adam racconta: «quando ho ripreso i sensi erano tutti e due accanto al mio letto e tutti e due piangevano e io mi sono sentito ancora più triste per noi, perché avevamo disubbidito a Dio. Ma la cosa importante è questa: mi ci è voluto un momento per rendermi conto che mamma e papà piangevano, ma di GIOIA! Erano così felici, mi abbracciavano, si abbracciavano e ringraziavano Dio … Ero talmente confuso che ci ho messo un paio di giorni a capire … I miei genitori avevano rispettato la legge, ubbidito agli anziani e fatto tutto ciò che era giusto, perciò potevano sperare di avere accesso al paradiso terrestre – ma allo stesso tempo potevano avere me vivo, senza che nessuno di noi fosse disassociato. La trasfusione c’era stata, ma la responsabilità non era nostra. Prendetevela con il giudice, con un sistema senza dio, prendetevela con quello che certe volte noi chiamiamo “il mondo”. Che sollievo! Abbiamo ancora nostro figlio pur avendo sostenuto che doveva morire» (pp. 131-132).
Quanti sentimenti contrastanti suscitano i genitori di Adam: vittime di uno stringente condizionamento mentale eppure silenziosamente bramosi di veder sopravvivere il figlio; ubbidienti al dettato geovista contro l’emoterapia, ma desiderosi che qualcun altro si prendesse la responsabilità di violare la “loro” volontà, imponendo le vitali trasfusioni!
Mi è capitato di leggere o ascoltare esperienze del genere, realmente vissute. Eppure, contro l’atteggiamento mentale dei genitori di Adam si scaglia la critica del Direttivo geovista, come leggiamo in La Torre di Guardia del 15 giugno 1991, pp. 15 e segg.: «Ma noi, da parte nostra, stiamo facendo del nostro meglio per istruirli in questa faccenda essenziale? I genitori cristiani dovrebbero riflettere seriamente su questa domanda, poiché sembra che alcuni genitori abbiano assunto un atteggiamento sbagliato in relazione ai loro figli e al sangue. Sembra che alcuni ritengano di non avere, in realtà, molta voce in capitolo per quanto riguarda il fatto che i loro figli minorenni siano trasfusi oppure no. Da cosa nasce questa idea errata? … Alcuni genitori, sapendo che il personale sanitario potrebbe facilmente ottenere un’ordinanza del tribunale per trasfondere un minore, potrebbero pensare di avere le mani legate, di non poter o dover fare nulla come genitori. Non è assolutamente così! … Se un cristiano si opponesse vigorosamente a una violazione della legge di Dio sul sangue, in alcuni paesi le autorità potrebbero considerarlo un trasgressore o potrebbero denunciarlo. Se dovesse andare incontro a qualche sanzione, il cristiano potrebbe considerarlo un modo di soffrire per amore della giustizia.»
Ho provato compassione per i genitori di Adam.
Achille Aveta – Settembre 2016