Nel 2016, per i tipi dell’editore Homo Scrivens, si è pubblicato il primo romanzo di Vincenza D’Esculapio, dal titolo “La torre d’avorio”.
A diversi giovani lettori il nome dell’Autrice, già docente di materie letterarie e di storia e filosofia, potrà risultare familiare, considerato che la D’Esculapio – fin dagli anni Ottanta del secolo scorso – ha scritto numerosi testi scolastici (per farsi un’idea della cospicua produzione si veda qui).
“La torre d’avorio” narra la storia di Evelina e suo marito, Oscar, attratti dalle lusinghe dei Testimoni di Geova fino a ritrovarsi in una metaforica torre d’avorio, in cui solo chi condivide totalmente l’ideologia geovista trova spazio: pensiero critico, dissenso, voci indipendenti non sono ammessi, perché “la Verità” risiede nei dettami del Corpo Direttivo dei Testimoni, unico “canale di comunicazione” approvato da Dio sulla terra. Per chiunque osi metterne in discussione i principi “teocratici” c’è l’ostracismo, immediato e totale.
È un racconto tratto da una storia vera? Colpisce la disinvoltura con la quale l’Autrice rimanda a documenti e situazioni propri del gruppo religioso, in cui si imbattono i personaggi del racconto, e l’intelligenza dell’analisi psicologica svolta sui personaggi. Evelina e Oscar vivono una storia che li accomuna alle vite di molti altri, perciò il lettore ricaverà la netta sensazione che nel romanzo convivano soggetti reali e personaggi inventati. La personale conoscenza del vissuto dell’Autrice mi consente di confermare che questa sensazione è pienamente confermata.
Comunque, nell’economia del racconto, la questione della compresenza di fatti realmente accaduti e di dati di finzione appare secondaria: sapere se i primi siano attinti attraverso una ricostruzione del passato o siano appresi de visu dal narratore appare sostanzialmente ininfluente ai fini della storia; ogni avvenimento complesso può essere chiarito anche attraverso il confronto con altre testimonianze, ricostruzioni di ambienti, documenti, immagini.
L’Autrice non ha certezze da propinare al lettore, semplicemente descrive i fatti e illustra i dubbi dei protagonisti, consentendo a chi legge di farsi un’idea “informata” delle vicende di cui discute. È, inoltre, interessante capire come mai una “religione”, tutto sommato bizzarra come il geovismo, sia riuscita a penetrare nel tessuto sociale e familiare, mirabilmente descritto dall’Autrice. Più che l’aspetto dottrinale, avvince l’esperienza personale dei protagonisti con il geovismo.
Achille Aveta – Ottobre 2016