Nel mondo i movimenti del “sacro Nome” rappresentano una corrente dell’avventismo sabatista particolarmente influenzata dall’idea che sia necessario conoscere e utilizzare “il vero” Nome divino; «il loro sabatismo li differenzia dalla principale corrente avventista del Sacred Name rappresentata dai Testimoni di Geova (che non sono sabatisti) e dai loro scismi» (M. Introvigne, Le nuove Religioni, Milano 1989, pp. 127 ss.). Infatti, i Testimoni di Geova ritengono che una delle prove dell’appartenenza “all’unica, vera religione approvata da Dio” sia la santificazione del Nome di Dio; così, infatti, si esprime il geovismo: «Sembra, dunque, che il primo passo in assoluto che deve compiere chiunque voglia identificare “il solo vero Dio” sia quello di conoscerne il nome» (Svegliatevi! dell’8 febbraio 1999, p. 7). Perciò i Testimoni adoperano questo nome (Geova) nella pratica religiosa e, addirittura, si vantano di averne “ripristinato l’uso” in tutta la loro versione della Bibbia, conosciuta col titolo di Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture (TNM).
Per chi volesse ripercorrere le tappe della polemica con il geovismo sul Nome divino, sul significato del Tetragramma e sulle ragioni per cui il termine “Geova” non rappresenta accuratamente alcuna forma del Nome, rimando a: Bruno Vona, “L’enigma di un nome: JHWH” in A. Aveta, I Testimoni di Geova: un’ideologia che logora, Roma 1990, pp. 90-115; A. Aveta – B. Vona, I Testimoni di Geova e lo studio della Bibbia, Palermo 2014, pp. 325-500. In questa sede mi limiterò ad evidenziare l’incoerenza di alcune pretese geoviste sull’argomento.
Cominciamo da quanto ammette una fonte geovista: «La forma Yahweh è generalmente preferita dagli studiosi di ebraico, ma oggi non è possibile determinare con certezza la pronuncia del nome. Per questo si continua a usare la forma italianizzata Geova, in quanto è stata usata per secoli ed è il modo tradizionalmente accettato di rendere in italiano il Tetragramma, cioè le quattro lettere ebraiche del nome divino, יהוה.» (“Tutta la Scrittura è ispirata da Dio e utile”, Roma 1991, p. 327). Quindi il tradizionalismo religioso sta alla base della scelta del nome “Geova”!
Per giunta, l’organo ufficiale geovista ha riconosciuto: «Il Comitato di Traduzione della Bibbia del Nuovo Mondo dichiarò: “Mentre siamo inclini a considerare la pronuncia ‘Yahweh’ come la più corretta, abbiamo ritenuto la forma ‘Jehovah’ perché è conosciuta dal popolo sin dal 14° secolo. Inoltre, essa preserva ugualmente, con le altre forme, le quattro lettere del tetragramma JHVH”.» (La Torre di Guardia del 1° febbraio 1961, p. 95). Quest’ultima affermazione non tiene conto di un fatto importante: il nome Geova non può essere superficialmente accettato come equivalente del Tetragramma, perché? Ebbene, i nomi presenti nelle traduzioni della Bibbia sono l’italianizzazione di nomi semitici vocalizzati correttamente, dunque c’è stato un mutamento del nome in base a precise leggi fonetiche, che regolano la “normalizzazione”, cioè il passaggio da una lingua all’altra: dall’aramaico Yeshùa‛ al greco Iesous, al latino Iesus, fino all’italiano Gesù (la “i” iniziale latina diventa spesso in italiano “g”); quindi, i mutamenti fonetici dall’ebraico all’italiano si sono prodotti nei nomi biblici partendo dal termine semitico vocalizzato correttamente, al contrario di quanto è avvenuto per Geova, che è l’italianizzazione di un vocabolo ebraico inesistente perché vocalizzato male. Infatti, Geova «è parola fittizia. Essa deriva da uno strano giuoco intorno al tetragramma, o lettere sacre indicanti il nome di Yahweh. Esso era scritto in ebraico con le sole consonanti YHWH: poiché YHWH era normalmente letto adonay fu vocalizzato con le vocali di quest’ultimo: a o a, solo che la prima a, per una legge fonetica ebraica divenne e con le nuove consonanti; donde Ye-Ho-Wa-H: parola quindi inesistente, ma assai diffusa specie nei manuali di qualche tempo fa (N.d.T.)!» (J. Barr, Semantica del linguaggio biblico, Bologna 1968, p. 370).
A proposito della presenza del Tetragramma nel testo biblico, gli stessi Testimoni di Geova ammettono: «oggi, a parte alcuni frammenti della primitiva Settanta greca in cui il nome sacro è conservato in ebraico, solo il testo ebraico (cioè l’AT) ha ritenuto questo importantissimo nome nella sua forma originale di quattro lettere (Yhwh)» (TNM ed. 1987, p. 1563, parentesi aggiunte). Come mai, allora, se l’uso del Nome divino dev’essere – a detta dei Testimoni di Geova – un requisito essenziale per identificare l’unica vera religione, nei manoscritti del NT, finora pervenutici, questo Nome non compare? La risposta geovista è la seguente: «perché‚ quando furono fatte quelle copie (dal III secolo E.V. in poi) il testo originale degli scritti degli apostoli e dei discepoli era già stato alterato. Quindi copisti successivi devono aver sostituito il nome divino nella forma del Tetragramma con Ky’rios e Theòs». (Perspicacia nello studio delle Scritture, sub voce “Geova”, vol. 1, p. 1028; corsivo aggiunto). Pertanto, la pretesa geovista si può così riassumere: «Molte traduzioni bibliche omettono il nome divino. Ma gli unti servitori di Geova si opposero fermamente al complotto ordito da Satana per cancellare dalla memoria umana questo nome.» (Il Regno di Dio è già una realtà!, Roma 2014, p. 39). Ma questa pretesa dei Testimoni di Geova è incoerente perché induce alla conclusione che i manoscritti del NT, finora scoperti e studiati dagli specialisti, sarebbero stati proditoriamente manipolati da copisti infedeli allo scopo di cancellare ogni menzione del Nome divino; il geovismo sostiene che dietro all’eliminazione del Nome dal NT ci sarebbe “lo zampino di Satana”: «Nel fare copie delle Scritture Greche Cristiane, evidentemente i cristiani apostati cominciarono a togliere dal testo il nome proprio di Geova e a sostituirlo con il termine greco Kỳrios, ovvero “Signore”. Accadde qualcosa di simile nel caso delle Scritture Ebraiche: il nome divino, che non veniva più letto ad alta voce, fu sostituito dagli scribi ebrei apostati più di 130 volte con ’Adhonài.» (La Torre di Guardia del 1° luglio 2010, pp. 6-7; cf.La Torre di Guardia del 1° ottobre 1997, p. 14). Se questa tesi geovista fosse attendibile, gli stessi Testimoni di Geova dovrebbero conseguentemente chiedersi: quale affidabilità può offrire un testo del NT che ha subìto alterazioni così radicali? in quali altri brani biblici sono state compiute manomissioni così diaboliche? in sostanza, quanto è attendibile la “buona notizia” che viene fuori da Vangeli così radicalmente manomessi? e a proposito della figura di Gesù: a causa di manipolazioni fraudolente così importanti, è ancora attendibile ciò che il NT dice di lui?
La pretesa geovista della manomissione del NT da parte di Satana, allo scopo di eliminare ogni menzione del Nome divino, ha come conseguenza la messa in discussione dell’attendibilità di tutto il testo biblico e induce a dubitare dell’ispirazione della Bibbia così come quest’ultima viene definita dallo stesso geovismo. Infatti, le alternative sono due:
a) il testo del NT è stato manipolato da scribi apostati, diabolicamente infedeli, i quali hanno, tra l’altro, eliminato ogni riferimento al Nome; quindi Dio non avrebbe esercitato alcuna forma di protezione per salvaguardare l’integrità del testo biblico;
b) il NT non ha subìto alcuna alterazione sostanzialmente rilevante, il che dimostra la vigile cura divina nella preservazione della Bibbia.
Incoerentemente, gli ideologi geovisti, da una parte, azzardano la pretesa dello “zampino di Satana”, che avrebbe indotto traduttori e copisti a togliere «il nome personale di Dio, Geova, … anche dalle copie delle Scritture Greche Cristiane» (La Torre di Guardia del 1° ottobre 1997, p. 14), dall’altra, concordano sulla fedele conservazione del testo biblico affermando che «la preservazione e la traduzione delle Scritture ispirate sono avvenute per divina provvidenza … e la grande quantità di manoscritti biblici in lingua originale giunti fino a noi consente di verificar[ne] l’accuratezza» (Ivi, pp. 11,13). Pertanto, da una parte, gli eisegeti geovisti sostengono che gli autori del NT inclusero, in origine, il Tetragramma nei loro scritti; dall’altra, essi ammettono che, nonostante la successiva eliminazione dal testo del Nome a causa dello “zampino di Satana”, questo stesso NT sarebbe stato preservato con eccezionale accuratezza. La contraddizione in cui cade il geovismo è fin troppo evidente: si ammette che Dio ha esercitato la propria influenza per preservare il testo greco del NT, sicché‚ quest’ultimo “è una meraviglia di trasmissione accurata” (La Torre di Guardia del 1° ottobre 1977, p. 603), tuttavia il Creatore si sarebbe “distratto” e avrebbe omesso di badare che il Nome fosse conservato in almeno alcune delle circa 5.000 antiche copie manoscritte del NT attualmente disponibili. Se fosse legittima l’eccezionale importanza attribuita al Tetragramma da parte dei Testimoni di Geova, come sarebbe potuto accadere tutto ciò?
In realtà, se centinaia di anni di studi sui manoscritti disponibili, compiuti da rinomati studiosi del testo biblico, consentono di asserire che le informazioni contenute sia nell’AT che nel NT «sono le stesse che Dio diede a coloro che le scrissero in origine», allora, tra le due alternative precedentemente menzionate, dovremmo escludere la prima; ne conseguirebbe che l’uso di un particolare “nome divino” non costituisce un requisito essenziale per individuare la pura forma di adorazione approvata dal Signore.
Eppure, nonostante queste incoerenze, i vertici geovisti asseriscono: “in qualche tempo durante il II o il III secolo” d.C., il “nome” dev’essere stato cancellato dalle copie successive degli scritti originali del NT, il che sarebbe stato fatto per conformarsi alla prassi, vigente all’epoca, di sostituire il Tetragramma (YHWH) con le parole “Signore” (in greco, ky’rios) o “Dio” (in greco, theòs). (TNM ed. 1987, p. 1566)
Da ciò il geovismo inferisce che gli scrittori cristiani della Bibbia adoperassero abitualmente il Tetragramma in citazioni dell’AT, invocando a conferma di questa pretesa la presenza del Tetragramma in alcuni frammenti di antichi manoscritti della versione precristiana dell’AT, nota come la Settanta (LXX). Quindi, il Corpo Direttivo sostiene che la presenza del Tetragramma in alcune delle più antiche copie (in effetti, frammenti) della LXX sarebbe una prova del fatto che, in origine, esso vi era diffusamente riportato. Di conseguenza, la Traduzione del Nuovo Mondo delle Scritture Greche Cristiane (il NT geovista) riporta il nome “Geova” in 237 passi, ma in modo alquanto incoerente. Infatti, da un lato, nella TNM ed. 1987, p. 1567, si afferma che “per sapere dove il nome divino fu sostituito con le parole greche Kurios e Qeos, abbiamo determinato dove gli scrittori cristiani ispirati citarono versetti, passi ed espressioni delle Scritture Ebraiche e quindi abbiamo consultato il testo ebraico per appurare se vi compare il nome divino”; dall’altro lato, in 125 sui 237 casi di immissione del termine “Geova” nel NT, la TNM introduce tale nome in versetti in cui non esiste alcun riferimento a passi dell’AT (cf Lynn Lundquist, The Tetragrammaton and the Christian Greek Scriptures, Portland 1998, pp. 39 e 50).
Pertanto, la pretesa geovista secondo la quale gli apostoli e gli altri autori cristiani del primo secolo, citando dall’AT, avrebbero incluso il Tetragramma nei propri scritti è semplicemente una teoria, un’ipotesi speculativa che cozza contro il peso dell’evidenza storica e documentale. Vediamo perché. Uno dei maggiori ostacoli alla tesi geovista è rappresentato da quello steccato che la tradizione biblica ha eretto intorno al “Nome” divino, avendo presenti i pericoli insiti nel fatto che la divinità abbia un nome proprio. Infatti, «la massima preoccupazione del rabbinismo è stata quella di evitare di pronunciare il nome di Dio; per fare ciò, ha escogitato un intero sistema di nomi sostitutivi, come il ‘cielo’ (ha shamajim), il ‘Signore’ (‘adonai), e in seguito semplicemente il ‘nome’ (ha shem); venivano inoltre usati concetti astratti come la ‘gloria’, la ‘potenza’, la ‘dimora’ (di Dio)» (AA.VV., Dizionario dei concetti biblici del NT, Bologna 1976, p. 489 sub voce “Dio”). Ciò fu dovuto in parte a un senso di tabù, in parte – e ciò non va trascurato – a una conoscenza più matura dell’essenza della divinità. Infatti, «un aspetto tipico dei LXX è dato dall’ellenizzazione del monoteismo israelitico-giudaico e dalla riduzione dei nomi di Dio. ‘el, ‘eloah, ‘elohim vengono tradotti normalmente con theòs, in casi eccezionali con kyrios … theòs sta soltanto circa 330 volte per jahve o jah, che vengono tradotti prevalentemente con kyrios.» (AA.VV., Dizionario dei concetti biblici del NT, cit., p. 488).
Inoltre, presso gli esseni di Qumran, almeno a far data dal I sec a.C. (1QS), l’uso del “nome” era scoraggiato. A ciò si aggiunga la testimonianza di “Giuseppe Flavio, che era sacerdote, conosceva con tutta probabilità il nome ebraico di Jahvé, ma non lo usa mai… nella sua citazione di Es. 3 aggiunge che non è permesso dire qualcosa in proposito” (AA.VV., Dizionario dei concetti biblici del NT, cit., p. 1095). Una delle ragioni per cui si smise di adoperare il “nome” può essere stata la volontà di evitare che esso fosse coinvolto in rituali magici.
Ma c’è dell’altro. Una cosa è sostenere che qualche copia della LXX conteneva il Tetragramma, tutt’altra cosa è pretendere che ciò dimostri che gli autori del NT lo abbiano sistematicamente utilizzato nei loro scritti! Infatti, riguardo all’uso del Tetragramma presso gli ebrei al tempo di Gesù, il quadro offerto da diversi testi dell’AT è molto vario; all’inizio dell’era cristiana non troviamo un modo uniforme di porsi nei confronti del Tetragramma da parte dei redattori dei testi biblici.
Inoltre, leggendo il NT, troviamo a volte delle citazioni dall’AT, che presentano differenze rispetto alla fonte citata; come si spiegano queste differenze? La stessa letteratura geovista ammette: «Ogni tanto le citazioni differiscono sia dal testo ebraico che dal testo greco che ora abbiamo. Alcune variazioni possono essere dovute al fatto che lo scrittore citava a memoria. O i cambiamenti possono essere stati intenzionali … Gli scrittori sostituirono ogni tanto parole o frasi sinonime … Talvolta i versetti delle Scritture Ebraiche furono parafrasati nelle Scritture Greche Cristiane» (La conoscenza che conduce alla vita eterna, Roma 1995, p. 27). Se la situazione è così diversificata, come si può assecondare la pretesa geovista di uniformare tutte le citazioni dall’AT, fatte dagli autori cristiani, includendovi il Tetragramma dove compariva nell’originale ebraico? È evidente che l’ipotesi geovista presuppone che tutti gli scrittori del NT si siano attenuti scrupolosamente a una trascrizione fedele dei versetti dell’AT contenenti il Tetragramma. Ma questa presunzione è smentita dalla varietà dei modi in cui è stato riprodotto il “nome” nei frammenti finora ritrovati delle versioni precristiane dell’AT e dal comportamento degli stessi scrittori neotestamentari, come si evince da varie evidenze testuali.
Per giunta, disponiamo di elementi a favore di un uso contemporaneo di diversi modi di rendere il nome divino. Infatti la Esapla di Origene (182-251) riporta il Tetragramma, ma anche Kyrios (e forme abbreviate), Pi Pi e la forma IAO. Questa varietà non sarebbe stata pacificamente registrata, se fosse stata recepita come una evidenza di eresia. È interessante notare che nessuna delle forme predette appare confinata in una precisa epoca, quindi non disponiamo di elementi per indicare uno sviluppo progressivo da una forma all’altra.
Va pure osservato che la sostituzione del Tetragramma con Kyrios fin dalle prime copie del NT – così come ipotizza il geovismo – avrebbe provocato rilevanti implicazioni nella teologia cristiana del primo secolo con particolare riferimento alla cristologia e al dogma trinitario; non sarebbe, quindi, comprensibile che un così significativo mutamento teologico si potesse verificare senza sollevare un ampio dibattito tra i leader della neonata chiesa cristiana. Stando alle testimonianze di Girolamo, Origene ed altri fino al IV secolo d.C., si sa che il Tetragramma era ancora presente in copie della versione greca dei Settanta dell’AT, mentre non si dispone di una sola dichiarazione dei primi autori cristiani attestante che lo stesso Tetragramma fosse contenuto in qualche copia del NT. Infatti, cosa attestano gli scritti dei “padri apostolici”? I loro scritti non registrano un dibattito connesso all’ipotizzata rimozione del Tetragramma dalle copie del NT; ciò anche in considerazione del fatto che Ireneo (120-202), nel fare citazioni del NT (perfino alcune delle 237 citazioni dove la TNM introduce il Tetragramma) adopera tranquillamente Kyrios. I primi scritti non canonici disponibili non includono alcun riferimento al Tetragramma. Per illustrare, l’Epistola di Clemente Romano ai Corinti (scritta tra il 95 e il 98 d.C.) non adopera il Tetragramma quando cita dall’AT. Lo stesso accade nel caso della Lettera di Barnaba (I-II sec d.C.) e della Didachè, che adoperano la parola Kyrios nelle citazioni dall’AT, laddove nel testo ebraico compare il Tetragramma. Il Testimone di Geova Greg Stafford, citando Giustino Martire e Clemente Alessandrino, riconosce: «è evidente che preminenti membri della Chiesa primitiva, negli anni successivi alla morte dell’ultimo apostolo, non accettarono questo nome ebraico, o qualsiasi altro, come nome proprio per Dio». (G. Stafford, Jehovah’s Witnesses Defended. An answer to Scholars and Critics, Huntington Beach 2000, pp. 20-21)
Per giunta, la pretesa geovista implica l’ipotesi che tutti i manoscritti del NT, asseritamente contenenti il Tetragramma, sarebbero stati fatti sparire contemporaneamente in un vasto ambito geografico che abbraccia parti di tre continenti (Asia, Africa, Europa). Sarebbe, comunque, più ragionevole ipotizzare che ci sia stato un sia pur breve periodo di coesistenza tra manoscritti del NT contenenti ancora il Tetragramma ed altri caratterizzati dall’immissione di termini sostitutivi; ma neanche di tale eventuale fase di transizione c’è traccia nei documenti disponibili.
Altra questione è se ci sia qualche merito particolare nel ricorso a quello specifico “nome” ad opera dei cristiani, o se sia ascrivibile qualche merito alla frequenza e ripetitività del ricorso a quel termine, come se ciò attestasse un cruciale elemento di identificazione per stabilire la validità della propria posizione quale unico e vero adoratore di Dio. Infatti, in un catechismo geovista viene categoricamente insegnato: “Tutti coloro che desiderano avere il favore di Dio devono imparare a invocare il suo nome con fede”. (La conoscenza che conduce alla vita eterna, Roma 1995, p. 27). Questa prescrizione del Corpo Direttivo geovista ci porta all’esame di un altro problema: l’uso e la rilevanza del Nome nel NT e l’atteggiamento dei primi cristiani nei confronti del Tetragramma. In siffatto contesto, quale fu il comportamento dei primi cristiani? Raymond Franz (In Search of Christian Freedom, Atlanta 1991, p. 504) fa osservare che perfino nella stessa traduzione biblica della Torre di Guardia – la TNM – troviamo intere lettere scritte dagli apostoli in cui il nome “Geova” è del tutto assente. Scrivere lettere delle dimensioni e del contenuto simili a quelle paoline ai Filippesi, o alla sua prima epistola pastorale a Timoteo o a quella a Tito e a Filemone, o scrivere tre distinte lettere di monito e di esortazione su temi importanti come quelli trattati dall’apostolo Giovanni, e non usare ripetutamente il nome “Geova” comporterebbe il sospetto di apostasia tra i Testimoni di Geova. Eppure, va ripetuto, nella loro stessa TNM tale “nome” non compare in alcuna delle sette epistole apostoliche citate. Anche nell’ottica geovista della TNM, si deve ammettere che nella redazione di queste lettere gli apostoli Paolo e Giovanni non si uniformarono evidentemente alla regola imposta dagli ideologi della Torre di Guardia. O, per dirla più correttamente, la pretesa imposta dal Corpo Direttivo non si uniforma alla veduta apostolica del primo secolo. La totale assenza di “Geova” in queste sette epistole apostoliche, perfino nella TNM, costituisce un’ulteriore prova del fatto che l’inserimento di quel nome nella restante parte del NT è puramente arbitrario, non è ovviamente una prova a favore della pretesa geovista.
In conclusione, il NT, come ci è stato preservato attraverso migliaia di antichi manoscritti, in nessun punto enfatizza il Tetragramma; il NT dimostra che il Figlio di Dio non diede risalto a tale designazione, né nei discorsi né in preghiera, rivelando invece la sua opzione per l’appellativo “Padre”; inoltre, il NT dimostra che apostoli e discepoli, nei loro scritti, seguirono l’esempio del Maestro.
Il nome rappresentato dalle lettere del Tetragramma è degno di profondo rispetto, giacché compare con grande rilevanza nella lunga storia del rapporto di Dio con gli uomini in età precristiana, in particolare con il popolo del patto, Israele. Tuttavia, il Tetragramma, comunque lo si pronunci, resta solo un simbolo della Persona. Commetteremmo un serio errore, se attribuissimo a una parola – anche se adoperata come “nome divino” – un’importanza equivalente a quella spettante a Colui che essa designa; sarebbe ancora peggio, se considerassimo la parola in sé come una sorta di feticcio, talismano o amuleto capace di proteggerci da danni e sofferenze, da forze demoniche. Agendo in tal modo, dimostreremmo di aver perso effettivamente di vista il vero e vitale significato del “nome” di Dio.
Quindi non si può che concordare con chi afferma: «Sul piano dottrinale, al centro della fede dei Testimoni c’è Geova, il nome di Dio traslitterato dall’ebraico, in una forma linguisticamente contestata dall’assoluta maggioranza degli studiosi dell’Antico Testamento, ancorché non pronunciabile per gli ebrei e addirittura offensiva della loro sensibilità. … I Testimoni di Geova non fanno propri i risultati delle ricerche filologiche e della moderna critica biblica, preferendo trincerarsi dietro una presunta irrisolta controversia all’interno della stessa comunità scientifica. Per loro Dio è Geova e tanto basta.» (P. Naso, Il mosaico della fede. Le religioni degli italiani, Milano 2000, pp. 50-51).
Achille Aveta – Ottobre 2022