Come ho scritto altrove, considero opportuno che la dottrina giuridica e la politica facciano un passo decisivo verso una legge generale sulla libertà religiosa, capace di abrogare l’obsoleta legislazione sui culti ammessi (legge 24/6/1929 n°1159 e R.D. 28/2/1930 n°289). «È opinione diffusa che se una legislazione siffatta esistesse, il sistema delle garanzie generali ne uscirebbe rafforzato, poiché essa riguarderebbe ogni manifestazione collettiva del sentimento religioso e farebbe affievolire il tentativo (o il pericolo) di conquista, tramite le intese, di discipline privilegiate.» (Cassazione Sezioni unite, sentenza n°16305 del 28/6/2013).
Comunque, l’articolo 8 della Costituzione italiana, dopo aver affermato che tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge e che hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, purché non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano, stabilisce che i loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze. La competenza ad avviare le trattative spetta al Governo. L’incarico di condurre le trattative con le rappresentanze delle confessioni religiose è affidato dal Presidente del Consiglio dei Ministri al Sottosegretario-Segretario del Consiglio dei Ministri, il quale si avvale di una apposita Commissione interministeriale per le intese con le confessioni religiose, istituita per la prima volta nel 1985. La Commissione predispone le bozze di intesa unitamente alle delegazioni delle confessioni religiose che ne hanno fatto richiesta. Dopo la conclusione delle trattative, le intese sono sottoposte all’esame del Consiglio dei Ministri ai fini dell’autorizzazione alla firma da parte del Presidente del Consiglio. Dopo la firma del Presidente del Consiglio e del Rappresentante della confessione religiosa le intese sono trasmesse al Parlamento per l’approvazione con legge.
È appena il caso di precisare che la stipula di intese tra lo Stato e gruppi religiosi, ai sensi dell’art. 8, 3° comma, Cost., costituisce una mera facoltà e non un obbligo, quindi tali intese possono ma non debbono essere necessariamente stipulate: infatti, il Governo «non è vincolato oggi a norme specifiche per quanto riguarda l’obbligo, su richiesta della confessione, di negoziare e di stipulare l’intesa» (Corte Costituzionale, sentenze n°346 del 2002 e n°52 del 2016). Infatti, con la stipula di un’intesa lo Stato non si limita a tutelare il diritto alla libertà religiosa delle minoranze religiose richiedenti e a facilitare la possibilità di azione e diffusione delle loro idee, ma le dota di una patente di affidabilità di fronte alla coscienza dei cittadini. Per giunta bisogna tener conto della natura evidentemente politica della fase parlamentare di approvazione o meno di un’intesa (vedere: Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza n°6083/2011; Cassazione Sezioni unite, sentenza n°16305 del 28/6/2013).
Tanto premesso, facciamo un excursus storico sulla questione dell’intesa riguardante il movimento geovista. Si ha notizia dei primi seguaci di Charles Taze Russell, noti come Studenti Biblici (precursori degli odierni Testimoni di Geova), a partire dai primi anni del Novecento; ma per decenni il numero dei proseliti rimase decisamente esiguo (infatti nel 1946 si registravano solo 120 propagandisti in tutto il territorio nazionale). Infatti, per circa mezzo secolo l’attività del manipolo di propagandisti italiani, identificatisi col nome di Testimoni di Geova nel 1931, fu coordinata dalla filiale svizzera della Watch Tower Society.
Il 2 aprile 1976 fu una data significativa per i Testimoni di Geova italiani; infatti, quel giorno all’ente esponenziale americano – Watch Tower Bible and Tract Society of Pennsylvania – fu riconosciuto il godimento dei diritti attribuiti agli enti morali italiani grazie al principio di reciprocità sancito da un trattato commerciale tra Italia e Stati Uniti d’America (ratificato e reso esecutivo con legge del 18/6/1949 n°385). Durante le assemblee estive italiane del 1976 i 57.255 propagandisti geovisti accolsero con entusiasmo questa notizia. Contestualmente, i “ministri di culto” geovisti, grazie al cosiddetto meccanismo delle “piccole intese”, poterono cominciare a celebrare matrimoni con effetti civili, visitare detenuti nelle carceri, beneficiare dell’assistenza sanitaria e previdenziale.
L’anno seguente, come narra Paolo Piccioli, autorevole Testimone di Geova: «L’ente confessionale dei testimoni di Geova nel 1977 inoltrò la prima richiesta di stipulare l’intesa ex art. 8 della Costituzione, che non ebbe nessun seguito. … agli esponenti della confessione fu detto che le trattative si potevano instaurare soltanto con confessioni rappresentate da un ente esponenziale riconosciuto in Italia.» (P. Piccioli, Il prezzo della diversità, Napoli 2010, p. 589). Pertanto i vertici geovisti si attivarono e nel 1986 (con d.P.R. 31/10/1986 n°783) all’ente rappresentativo in Italia dei Testimoni di Geova fu concesso il riconoscimento della personalità giuridica.
Mentre l’ente esponenziale italiano del geovismo si prodigava per stipulare l’intesa con il “satanico” (su questo concetto vedi oltre) Governo della Repubblica italiana, l’inizio degli anni Ottanta segnava una diffusa crisi internazionale nel Movimento; come ho illustrato nel cap. 3 del mio Totalitarismo mitigato, quegli anni furono segnati dall’esplosione di focolai di dissenso interno al geovismo in diverse parti del mondo: autorevoli Testimoni di Geova, ormai ex, si impegnarono in un’attività di demitizzazione del Corpo Direttivo geovista, colpevole di non aver svolto il ruolo, che esso stesso si era attribuito, di unico canale di trasmissione di verità divine al mondo che versava nelle tenebre spirituali. Le contromisure poste in essere dai vertici geovisti furono: da una parte, una internazionale, serrata caccia alle streghe (i critici del Movimento), dall’altra una petulante campagna di vittimismo in cui il gruppo veniva descritto come vittima di una persecuzione internazionale da parte di un manipolo di ex seguaci!
La documentata e puntuale critica scoppiata all’interno del Movimento attirò una non favorevole attenzione su aspetti dell’ideologia e della prassi vigenti ma poco noti alle autorità e al pubblico in generale; il che accadde anche in Italia negli anni Ottanta, gettando sul Movimento una luce ben diversa dall’immagine pubblica presentata dai vertici geovisti nel corso di anni di quasi indisturbata propaganda. Ovviamente occorreva correre ai ripari con iniziative tempestive per contrastare la crescente, documentata critica che stava investendo il Movimento; quindi, con un occhio rivolto all’obiettivo di ottenere la tanto attesa intesa con lo Stato italiano, tra le varie iniziative messe in campo, una decina di autorevoli Testimoni di Geova diede vita, nel gennaio 1990, all’“Associazione europea dei Testimoni di Geova per la tutela della libertà religiosa” la quale, a mente dell’art. 4 del suo Statuto, aveva lo “specifico fine di tutelare la libertà religiosa dei Testimoni di Geova, nonché di altre minoranze”. Un mese dopo la sua costituzione, nel febbraio 1990, la predetta Associazione curava la pubblicazione del volume Intolleranza religiosa alle soglie del Duemila, testo che fu al centro di un convegno giuridico tenuto a Roma il 3 aprile 1990, i cui atti furono successivamente pubblicati. Mostrando di padroneggiare gli strumenti propri dei gruppi di pressione, nello stesso mese di febbraio 1990, il Coordinatore della filiale italiana del Movimento tenne una ben preparata conferenza stampa in un albergo romano per presentare ai giornalisti la propria narrativa riguardante lo stallo in cui versava l’iter dell’intesa.
A coronamento delle numerose iniziative poste in essere dalla “Congregazione cristiana dei testimoni di Geova” (d’ora in poi indicata come Congregazione Centrale), il 15 maggio 1997 la Commissione interministeriale per le intese incontrò la delegazione della Congregazione Centrale e dette inizio all’esame della bozza del testo d’intesa. Paolo Piccioli, componente della citata delegazione trattante, ricorda: «Con l’ultimo incontro del 14 gennaio 1998 fu completato l’esame e definito il testo finale.» (Il prezzo della diversità, cit., p. 590). Al fine di accelerare l’iter così attivato, i vertici della Congregazione Centrale intensificarono l’attività di lobbying a livello parlamentare, con la proposizione di interrogazioni parlamentari che sollecitavano la definizione dell’intesa; tuttavia in Parlamento si evidenziò anche un fronte contrario alla stipula dell’intesa, che prese anch’esso forma in atti parlamentari precisi (ex plurimis si veda l’interrogazione al Senato del 12 novembre 1998, seduta n°485, pp. 94-96 del resoconto).
Di fronte a questa articolata opposizione alla stipula dell’intesa, il 17 novembre 1998 i vertici della Congregazione Centrale inviarono una circolare ai responsabili delle 3.032 comunità geoviste italiane nella quale si denunciavano le pressioni “esercitate in questi giorni sul Governo italiano per impedire la stipula dell’Intesa”; rivolgendosi di fatto agli oltre 220.000 propagandisti in Italia, la circolare affermava: «pensiamo che questa volta sia necessario e opportuno agire per controbilanciare una campagna volta a privarci di quei diritti che la legge qui in Italia prevede. Cosa potete fare di concreto? Vi suggeriamo di scrivere immediatamente una lettera ai più alti organi dello Stato [seguiva l’elenco delle cariche istituzionali da interpellare] per esprimere quei sentimenti di indignazione che molti di voi ci hanno esternato. … Vi alleghiamo la copia di una lettera che potrebbe servirvi per scrivere la vostra lettera. … Vorrete inviare le vostre lettere oltre che per posta anche via fax se vi è possibile. Vi invitiamo a spedire quante più lettere è possibile, ma almeno una lettera per congregazione a ognuna delle autorità sopra elencate. … Le singole lettere potranno essere firmate da tutti i fratelli che lo desiderano. La cosa importante non sarà la lunghezza del testo, ma che la lettera sia inviata subito. I fratelli e le sorelle che svolgono delle attività professionali o che usano la carta intestata potranno inviare a loro volta altre lettere. … Ribadiamo che il fattore tempo è un elemento determinante per l’efficacia di quanto faremo. Se potete scrivere molte lettere per congregazione sentitevi senz’altro liberi di farlo.»
Al riguardo si fa incidentalmente osservare quanto autorevole dottrina giuridica ha evidenziato: «Quando una confessione religiosa lotta per far sì che la legalità statale si adegui alla moralità specifica propugnata dalla confessione stessa, quest’ultima non può che ricondursi alla figura sostanziale di gruppo di pressione, che come tutti i gruppi di pressione dispone dei normali canali (partiti, opinione pubblica) predisposti in una democrazia rappresentativa proprio perché gli interessi della base facciano sentire il loro peso nelle decisioni politiche da prendere. Al gruppo confessionale, in quanto gruppo di pressione, non può essere consentito il canale della negoziazione» (A. Guarino, Obiezione di coscienza e valori costituzionali, Napoli 1992, pp. 123-124).
Anche per effetto di queste ben coordinate iniziative da vero e proprio gruppo di pressione, infine tra il Governo della Repubblica Italiana e la “Congregazione cristiana dei testimoni di Geova” veniva sottoscritta un’intesa ai sensi dell’art. 8 della Costituzione; il testo, datato 18 novembre 1999, fu approvato a maggioranza dal Consiglio dei ministri il 21 gennaio 2000 e sottoscritto dal Presidente del Consiglio il 20 marzo 2000. È interessante ricordare che, in occasione dell’approvazione dello schema d’intesa da parte del Consiglio dei Ministri dell’epoca, ben cinque Ministri espressero parere contrario alla stipula di quell’intesa. L’allarme sociale suscitato dalla notizia della sottoscrizione di quell’atto fu subito evidente: nel giro di alcune settimane decine di migliaia di cittadini italiani sottoscrissero una petizione ex art. 50 Cost., che fu presentata il 2 maggio 2000 alla Camera dei Deputati ed assegnata alla Prima Commissione; al Senato la stessa petizione fu presentata il 23 maggio 2000 ed assegnata alla Prima Commissione. Con quella petizione si esponeva al Parlamento la comune necessità di istituire una competente commissione parlamentare la quale potesse:
– approfondire e fare chiarezza in merito al concreto comportamento tenuto dalla Congregazione dei Testimoni di Geova, operante in Italia, che non risultava – per molti versi – conforme all’ordinamento giuridico italiano e alle norme costituzionali;
– rivalutare, prima di ogni definitiva intesa con la suddetta Congregazione, il mantenimento o meno del riconoscimento giuridico, a suo tempo concesso, che ad avviso dei sottoscrittori non appariva conforme al dettato della vigente legislazione, anzi certe specificità non potevano essere riconosciute dall’ordinamento statale in quanto confliggenti con l’insieme dei valori da questo garantiti.
Il 1° giugno 2000 il Presidente del Consiglio dei Ministri presentò alla Camera dei Deputati il disegno di legge, acquisito col n°7043, recante “Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e la Congregazione cristiana dei testimoni di Geova”. In sede parlamentare, anche per effetto della presentazione della citata petizione, si registrarono posizioni diversificate riguardo al provvedimento in esame. Infatti, nella Prima Commissione permanente della Camera dei Deputati, alcuni parlamentari espressero l’esigenza di procedere ad audizioni mirate ad accertare se, anche con riferimento alla Congregazione geovista, si potesse parlare di vera e propria confessione religiosa; per esempio, un deputato osservò che «si tratta, infatti, di un dato non pacifico, che merita di essere adeguatamente approfondito». Pertanto, nei mesi successivi, la stessa Prima Commissione della Camera tenne diverse audizioni, anche con i promotori della petizione popolare, nel corso delle quali furono acquisiti, agli atti della Commissione, relazioni, documenti e numerose testimonianze con i quali si dava contenuto all’allarme sociale suscitato dalla notizia della sottoscrizione dello schema di intesa in discussione.
Anche l’autorevole periodico La Civiltà Cattolica del 1° luglio 2000 evidenziò che «l’Intesa con i Testimoni di Geova solleva alcuni seri problemi, a motivo delle conseguenze che in campo politico e giuridico comporta la dottrina religiosa che essi professano»; inoltre, dopo essere entrata nel merito di alcuni aspetti dello schema di intesa, la rivista dei Gesuiti auspicava che «su questi punti, che sono di non scarso rilievo, il Parlamento possa e debba opportunamente intervenire, non per limitare la libertà religiosa o creare ostacoli al godimento dei diritti civili dei Testimoni di Geova, che vanno rispettati, ma per adeguare più pienamente l’Intesa ai principi costituzionali e alla legislazione del nostro Paese». Inoltre, in un commento sulle trattative tra Governo e Congregazione Centrale geovista, apparso sul quotidiano Avvenire, mons. Bromuri osservava che «l’Intesa ci sembra sia qualcosa di più di una semplice tutela di diritti. Essa, infatti, apre delle possibilità di azione e di diffusione e dà una patente di affidabilità di fronte alla coscienza dei cittadini. Quanto meno essa garantisce di fronte a eventuali pericoli che un determinato gruppo possa rappresentare per il bene collettivo. Ora ci si deve domandare se queste condizioni si pongano nei confronti dei Testimoni di Geova».
La fine della XIII legislatura (1996-2001), avvenuta circa un anno dopo la sottoscrizione della bozza di intesa, impedì al citato disegno di legge n°7043 di completare l’iter parlamentare necessario per la trasformazione in legge da parte del Parlamento. Durante le XIV (2001-2006) e XV (2006-2008) legislature non fu presentata alcuna proposta di legge per rendere esecutiva l’intesa.
Nel corso della XVI legislatura (2008-2013), il 13 maggio 2010, il Consiglio dei Ministri sottoscriveva un nuovo testo dell’intesa, aggiornato il 4 aprile 2007, idoneo a regolare i rapporti fra lo Stato e la “Congregazione cristiana dei testimoni di Geova”. Dopo la firma del Presidente del Consiglio e del Rappresentante della Confessione religiosa, lo schema di intesa veniva acquisito dal Senato come disegno di legge n°2237 per l’approvazione con apposita legge. Anche in questo caso, esso non concluse l’iter parlamentare entro il termine della legislatura.
Nella XVII legislatura (2013-2018), nel 2015, con un comunicato del Consiglio dei ministri si pubblicizzava la decisione, “su proposta del Ministro della Salute Beatrice Lorenzin, di riaprire il tavolo per l’intesa con le rappresentanze della Congregazione cristiana dei testimoni di Geova per approfondire alcuni aspetti in materia sanitaria”. Evidentemente quest’annuncio non ha soddisfatto le aspettative della Congregazione Centrale perché nel 2016 la stessa ha presentato alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) il ricorso n°49687/16 che chiama in causa il Governo, il Parlamento e altri organi statali con riferimento alla mancata stipula dell’intesa ex art. 8 Cost.
Che la Congregazione Centrale geovista non possa sostenere di essere discriminata dalle istituzioni statali italiane appare di palmare evidenza se si considera il fatto che, almeno dal 2012, la Congregazione cristiana dei testimoni di Geova è stata inserita nell’elenco degli enti beneficiari dell’istituto del 5 per mille, che – con la legge finanziaria per l’anno 2006 – ha introdotto la possibilità per il contribuente di devolvere il 5 per mille della propria imposta sul reddito delle persone fisiche a soggetti che operano in settori di riconosciuto interesse pubblico per finalità di utilità sociale. Il DPCM del 23 luglio 2020 ha disciplinato le modalità e i termini per l’accesso al riparto del cinque per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche degli enti destinatari del contributo, nonché le modalità e i termini per la formazione, l’aggiornamento e la pubblicazione dell’elenco permanente degli enti iscritti e per la pubblicazione degli elenchi annuali degli enti ammessi, in attuazione dell’articolo 4 del Decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 111. Per effetto di queste modifiche normative è stato costituito un apposito Ente del Terzo Settore (ETS), con ragione sociale JW Sostegno e Soccorso (cf 92091010600), iscritto al Registro unico nazionale del terzo settore (RUNTS) dal 14 giugno 2022.
Quindi, a prescindere dall’esito del ricorso presentato alla CEDU, resta da vedere se nel medio periodo la Congregazione geovista proporrà allo Stato una nuova bozza di intesa per superare il problema della violazione di diritti inderogabili (quali il rispetto per la persona umana, l’uguaglianza tra uomo e donna ….) che pone problematiche che non si prestano ad essere risolte dalle precedenti formulazioni di un’intesa; la corsa all’intesa, vista non solo come mezzo per liberarsi dalle restrittive disposizioni normative del 1929-1930, ma anche come strumento per godere di non indifferenti privilegi, tra i quali spiccano i vantaggi fiscali, è stata depotenziata con l’accesso all’istituto del 5 per mille.
A questo punto, e prima di concludere definitivamente questo excursus sulla vexata quaestio, si ritiene opportuno ritornare – per maggior chiarimento – all’aggettivo “satanico”, utilizzato nella parte iniziale di questa pagina, riguardante la visione del mondo dei Testimoni di Geova. Vale la pena di spendere due parole su di esso, applicato dai Testimoni a tutti i governi della terra, di ogni tempo e di ogni orientamento politico. Ciò ci aiuterà a comprendere meglio perché un’eventuale intesa con questo movimento religioso (essi evitano la definizione di “confessione”, sebbene la usino per ovvie ragioni nel loro Statuto e solo in esso; infatti, nel tempo si sono fatti conoscere inizialmente come “Studenti Biblici”, “Auroristi del Millennio”, “Russelliti”, Associazione dei testimoni di Geova, Società Torre di Guardia, e così via) rappresenterebbe un contratto “invalido”, perché stipulato sulla scorta di informazioni sul movimento, con una forte riserva mentale sullo stesso, e inoltre manipolate da parte della Congregazione medesima.
È ferma e incrollabile convinzione – in altro ambito religioso la potremmo definire “dogma” -, che il mondo, sin dalla creazione del primo uomo (e qui bisogna chiedersi che valore ha per loro lo studio di alcune discipline scolastiche, se il loro insegnamento, al quale non possono sottrarsi, aborre l’evoluzione della vita e ogni tipo di ricerca sulla genesi della razza umana che non sia contemplato nel testo biblico) è diviso sotto due domini: quello di Dio (Geova) e quello del Diavolo (Satana). Al primo appartengono e obbediscono “usi a obbedir tacendo e tacendo morir”, solo ed esclusivamente gli aderenti al Movimento; tutto il resto dell’umanità, in primis i governi e ogni forma di emanazione governativa nazionale o sovranazionale, fanno parte del “mondo” nemico di Dio, in particolare tutte le “false religioni” che insieme alla politica e al commercio costituiscono quella che essi definiscono la “triade satanica”. Dal che ne deriva, ovviamente, che ogni accordo, ogni patto, ogni intesa, che i “figli di Dio” dovessero stipulare con il mondo di Satana, è inficiata da un insanabile vizio di origine, che costituisce un vulnus di notevole portata per la sua validità e credibilità. La norma che vincola i Testimoni è per loro quella che è esposta nel Vangelo di Luca (16,13): “nessun servitore può essere schiavo di due padroni, poiché o odierà l’uno e amerà l’altro”. Ci stiamo perciò avvicinando al nòcciolo del problema. Per i Testimoni è imperativo seguire alla lettera (secondo la loro particolare interpretazione) ogni comando della Bibbia. Uno d’essi, contenuto nella lettera di Paolo agli Efesini (6,12), così si esprime: “Perché non abbiamo una lotta contro sangue e carne, ma contro i governi, contro le autorità, contro i governanti mondiali di queste tenebre”.
Da quanto sopra dovrebbe sorgere spontanea la domanda: com’è possibile che un movimento religioso, un movimento che considera ogni autorità terrena una diretta emanazione e la “longa manus” del loro nemico più acerrimo, possa chiedere di stipulare un’intesa, fare un patto, ricevere un beneficio (vedi il 5 per mille) da un’autorità diretta emanazione dell’avversario. Se fosse vivo Shakespeare, direbbe che “c’è del marcio in Danimarca”, e questo “marcio” è proprio rappresentato dal loro Statuto. Nel caso dei Testimoni di Geova è evidente che la normazione dell’organizzazione non è stata riversata nello Statuto; infatti dall’esame di quest’ultimo non si evidenzia qual è l’esercizio concreto del loro culto, la loro reale esperienza associativa; non per nulla Giovanni Battista Varnier afferma: «Riserve avrei anche sullo statuto della congregazione che sembra stilato soltanto per ottenere il riconoscimento e che non ci è dato sapere quanto rispetti la reale organizzazione interna della congregazione» (Normativa ed organizzazione delle minoranze confessionali in Italia, a cura di V. Parlato e G.B. Varnier, Torino 1992, p. 14).
L’incoerenza tra uno statuto presentato ad usum delphini e le norme reali che regolano l’esistenza della Congregazione si esplicita in diversi campi; uno in particolare è il più rilevante, del quale purtroppo sia gli organi preposti al vaglio, quali il Consiglio di Stato e il Ministero degli Interni, che la Commissione per le intese, non pare si siano preoccupati di effettuare opportune verifiche, cioè quello della “protezione dei diritti inviolabili dell’uomo anche nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità” (art. 2 Cost.). Con tale articolo, infatti, “Si vuole evitare che dalle norme organizzative della confessione religiosa derivino potenziali soprusi nei confronti dei fedeli” (Salvatore Magra, Considerazioni sull’intesa fra lo Stato e culto acattolico). La preoccupazione non è infondata, tanto che Nicola Colaianni (Confessioni religiose e intese. Contributo all’interpretazione dell’art. 8 della Costituzione, Bari 1990, p. 142) scrive: «Questo controllo, che può assumere un carattere minuzioso e penetrante, della confessione sulla condotta di vita (azioni e omissioni) dei suoi aderenti suscita un problema di garanzie individuali, giacché, se l’adesione ad una confessione comporta necessariamente la disponibilità ad una compressione dei propri diritti, la tutela statuale varca la soglia delle confessioni in caso di lesione dei diritti inviolabili dei cittadini fedeli. … Tuttavia, né i comportamenti trasgressivi dei suoi aderenti né le eventuali lesioni dei loro diritti inviolabili sono stati di ostacolo all’approvazione dello statuto». Si legge in queste parole una critica all’operato del Consiglio di Stato perché nel suo parere favorevole “delle eventuali lesioni di diritti inviolabili, poi, non v’è cenno … sicché è da ritenere che l’intervento statale risulta esattamente spostato dal piano amministrativo di prevenzione generale a quello giudiziario di repressione caso per caso dei comportamenti che, pur se esteriorizzino principi religiosi, violino precetti statali” (N. Colaianni, op. cit., p. 143).
La compressione e la lesione dei diritti individuali pongono il grave problema non della libertà della confessione — che è garantita — ma della libertà nella confessione, che non lo è affatto. Nel caso specifico stiamo parlando del diritto di recesso e del diritto di critica, che dovrebbero essere garantiti non solo all’esterno, ma anche all’interno della Congregazione. È pertinente al riguardo quanto ha scritto Cesare Mirabelli: “Si dovrebbe tendere alla protezione della libertà e della dignità dell’individuo all’interno dei movimenti religiosi, in considerazione del fatto che all’interno di molti culti la libertà di coscienza è frequentemente manipolata soprattutto quando si tratta di soggetti deboli, meno istruiti e quindi più suggestionabili” (Cesare Mirabelli, Le intese tra Stato e confessioni religiose, Napoli 1978).
Quanto sia importante questo tipo di tutela all’interno delle comunità che fanno richiesta di un’intesa è sottolineato con enfasi da una sentenza della Corte di Cassazione del 9 maggio 1986, secondo la quale: «non è indisponibile una certa sfera della propria libertà personale, cui può rinunciarsi in nome di convinzioni religiose, nonostante la tutela costituzionale di tale bene, ma che in ogni caso l’efficacia scriminante del consenso viene meno … quando si tratti di lesione di sfere indisponibili della libertà personale, come nel caso di punizioni degradanti o sommamente umilianti». Sembra opportuno qui richiamare il contenuto di una disposizione interna della Congregazione geovista riguardante le persone, anche dell’intima cerchia familiare, che vengono sottoposte al provvedimento ostracizzante della disassociazione: «Supponiamo che un medico vi dica di evitare i contatti con una persona affetta da una malattia contagiosa o letale. Non avreste dubbi su ciò che il medico intende dire e seguireste strettamente le sue raccomandazioni. Ebbene, gli apostati (= gli espulsi) sono mentalmente malati e cercano di infettare gli altri con i loro insegnamenti subdoli.» (La Torre di Guardia del 15 luglio 2011, p. 16). Sentirsi, nell’ambito della propria famiglia, come delle “persone infette” e pertanto da tenere alla larga come i lebbrosi d’antica memoria, è quanto di più degradante e umiliante possa esservi!
A commento della citata sentenza della Corte di Cassazione del 9 maggio 1986, Sergio Lariccia (“Pubblici poteri e nuovi movimenti religiosi” in Normativa ed organizzazione delle minoranze confessionali in Italia, cit., p. 68) spiega: «La cassazione, sostenendo l’esigenza di tutelare la libertà di dissociazione, quello che potrebbe definirsi lo ius poenitendi di colui che aderisce ad una organizzazione religiosa, afferma un principio che rappresenta un criterio fondamentale in materia di libertà di religione, quello di ritenere compreso in tale garanzia anche la libertà di interrompere il rapporto di appartenenza nei confronti della comunità, senza che la decisione di allontanarsi dal gruppo possa comportare sanzioni in contrasto con diritti costituzionalmente garantiti, dovendosi ritenere inammissibile, ai sensi dell’art. 2 cost., qualsiasi limitazione di diritti che derivi da vincoli di subordinazione di carattere perpetuo o da sanzioni preventivamente contemplate in gruppi extrastatuali.» (la sottolineatura è aggiunta)
È singolare il fatto che in questa Congregazione, a norma di Statuto, i fedeli vengano definiti “soci”, i quali “possono essere espulsi per gravi inadempienze agli obblighi derivanti dal presente statuto, per comportamento contrario agli insegnamenti delle Sacre Scritture in campo morale, e, comunque, tale da danneggiare la Confessione e i suoi membri o da causare grave turbamento fra i membri stessi” (art. 5).
Ne concludiamo quindi che è bene che nel valutare l’opportunità dell’intesa si sia al corrente delle regole vigenti all’interno della congregazione, gli “interna corporis” che non derivano dallo statuto bensì dal reale strumento di disciplina e di direttive di questo gruppo, rappresentato dagli scritti che emanano dal suo supremo congresso dottrinario e normativo: il Corpo Direttivo. Nessuno può opporsi alla sua volontà, e i suoi scritti costituiscono la sola guida alla quale in ogni parte del mondo si è tenuti a obbedire.
Si auspica, quindi, che la Congregazione Centrale addivenga a rinunciare gradualmente ad aspetti non “digeribili” per lo Stato italiano e all’appiattimento sulle esigenze dell’ordinamento statale, eliminando quegli aspetti specifici che possano comportare un irrigidimento delle trattative fino al rischio della definitiva preclusione della possibilità di varare un’intesa.
Achille Aveta – Novembre 2022