Misericordia o ambiguità?

Alla fine la montagna (l’Organizzazione geovista) ha partorito un topolino (l’edizione per lo studio di agosto 2024 della rivista La Torre di Guardia, di seguito indicata con la sigla w 8/2024)! L’attesa per il ritardo nella pubblicazione di questo numero della rivista aveva suscitato diverse congetture, specialmente dopo la diffusione dell’Aggiornamento dal Corpo Direttivo n°2 del marzo 2024.

Le novità

Quali concrete novità questa rivista ha introdotto nell’insegnamento e nella prassi dei Testimoni di Geova? Proviamo a riepilogarle includendo qualche commento:

1 – i comitati giudiziari geovisti non devono considerare le udienze con l’incolpato di serio peccato come “una semplice formalità in cui seguire una procedura prestabilita. … gli anziani che compongono il comitato pregano Geova di aiutarli a raggiungere il loro obiettivo: condurre il peccatore al pentimento” (w 8/2024, p. 21, parr. 5 e 6); di conseguenza, “gli anziani non arrivano frettolosamente alla conclusione che un peccatore non si pentirà. … gli anziani potrebbero disporre di incontrarsi con il peccatore più di una volta” (w 8/2024, p. 22, par. 12).

In cosa consiste la novità di questa direttiva? Nessuna novità riguarda l’attività giudiziaria degli anziani, i quali dovranno continuare a svolgere le loro indagini (ascoltando testimoni, in certi casi riterranno necessario consultare il Reparto Servizio della Filiale nazionale ecc.) per acquisire le prove della trasgressione ed accertare l’avvenuta violazione del “codice penale” geovista (si veda, ad esempio, il libro di testo per anziani “Pascete il gregge di Dio”, ed. novembre 2019, cap. 12, dove tra l’altro si precisa: «Se non si è sicuri che una determinata trasgressione richieda l’intervento di un comitato giudiziario, il corpo degli anziani può scrivere al Reparto Servizio per avere ulteriori istruzioni»).

Allora qual è la novità introdotta dalla w 8/2024 sul tema? Ebbene è nuova la prospettazione dell’attività giudiziaria degli anziani: si enfatizza oltremodo la ricerca del pentimento da parte del trasgressore e l’impegno reiterato da parte degli anziani a “pazientare” prima di espellere il peccatore. Forse questa enfasi sulla misericordia dipende dal fatto che in passato i comitati giudiziari geovisti nelle loro decisioni sono stati guidati da un eccesso di “giustizialismo teocratico”?

È pure evidente il cambio di passo che si richiede di adottare ai comitati giudiziari: ora si concedono più udienze giudiziarie al peccatore per esprimere pentimento, in passato le direttive interne prevedevano: “Gli anziani incaricati dovrebbero fare tutto il possibile per tenere l’udienza al più presto. Non risolvere prontamente la questione può danneggiare la congregazione e l’accusato” (“Pascete il gregge di Dio”, ed. novembre 2019, cap. 15, par. 9).

Appare pure evidente il maldestro tentativo di mettere la sordina alla documentata attività giudiziaria degli anziani geovisti laddove la w 8/2024, p. 21, dichiara: «dato che giudicare è soltanto un aspetto dell’opera [degli anziani], non useremo più l’espressione [“comitati giudiziari”]. Useremo invece l’espressione “comitato di anziani”». Questa nuova disposizione non potrà far altro che aumentare la confusione tra gli osservatori esterni al geovismo, i quali si devono già barcamenare tra “comitato di servizio della congregazione”, “comitato di gestione della Sala del Regno”, “comitato di assistenza sanitaria” (si veda l’Indice del manuale Organizzati per fare la volontà di Geova, ed. 2015, alla voce “comitato”).

2 – Altra novità procedurale introdotta dalla w 8/2024 riguarda il modo di trattare il caso di un Testimone minorenne battezzato che si macchi di una grave trasgressione: “Che dire se a commettere una grave trasgressione è un Testimone battezzato che non ha ancora compiuto 18 anni? Il corpo degli anziani disporrà che due anziani si incontrino con lui e i suoi genitori Testimoni” (w 8/2024, p. 24, par. 18). La novità della procedura consiste nel fatto che il Testimone minorenne trasgressore non viene indagato da un “comitato giudiziario” come invece era sancito in passato (“Pascete il gregge di Dio”, ed. novembre 2019, cap. 15, par. 15). In questa fattispecie la nuova direttiva prosegue: «Cosa farebbero invece gli anziani se il minore battezzato non si pentisse e persistesse nel tenere una condotta errata? In quel caso un comitato di anziani si incontrerebbe con lui e i suoi genitori Testimoni». Ma la direttiva rimane sospesa: forse il comitato attiverà altre udienze periodiche col peccatore minorenne aspettando che costui diventi maggiorenne prima di disassociarlo come peccatore impenitente? Se così fosse, questa procedura dimostrerebbe di essere una toppa per tentare di sanare il contenzioso sorto tra l’Organizzazione geovista e il Governo norvegese; riassumiamo la vicenda.

Nel marzo 2024 sul portale geovista apparve la seguente notizia: «Il 4 marzo 2024 il Tribunale distrettuale di Oslo ha appoggiato la decisione del governo norvegese di revocare la registrazione legale dei Testimoni di Geova in Norvegia. … Con questa sentenza lo Stato continua a negare la registrazione dei Testimoni di Geova in Norvegia, a meno che non venga modificato il modo in cui gestiamo i casi relativi a chi viene allontanato dalla congregazione perché ha commesso un peccato grave e non si è pentito. La decisione di revocare la registrazione priva i Testimoni di Geova delle sovvenzioni e di altre agevolazioni concesse dal governo a più di 700 denominazioni religiose registrate nel paese. Con questa revoca i Testimoni di Geova perdono il diritto di essere nominati ministri di culto autorizzati a celebrare matrimoni».

Tuttavia, Rolf Furuli, ex Testimone e docente dell’Università di Oslo, ha precisato: «Né il governatore della contea di Oslo e Viken né la Corte distrettuale hanno chiesto ai Testimoni di Geova di cambiare “la loro prassi di allontanare i trasgressori impenitenti”. Non è stata la disassociazione di per sé che la Corte ha ritenuto una violazione della legge norvegese. Ma era l’ostracismo e l’isolamento sociale di coloro che erano stati disassociati o si erano dimessi. La Corte ha stabilito che si trattava di “gravi violazioni dei diritti e della libertà degli altri”. L’attenzione della Corte si è concentrata sull’ostracismo di coloro che si dimettevano. Questo “viola gravemente la libertà di cambiare religione e convinzione”, in particolare per i bambini. Cito due affermazioni tratte da pagina 25 della sentenza della Corte distrettuale: “Attraverso le linee guida e la pratica della disassociazione, i Testimoni di Geova esortano i membri a evitare coloro che sono disassociati o che si dimettono, con il risultato che, con poche eccezioni, stanno sperimentando l’isolamento sociale dai restanti membri della comunità. La Corte concorda con lo Stato sul fatto che ciò ha effetti che devono essere considerati come gravi violazioni dei diritti e della libertà altrui, e questo è alla base del rifiuto delle sovvenzioni e delle registrazioni statali (§ 6, cf §§ 2 e 4). … Ciò che viene menzionato qui è che i bambini devono essere protetti contro gli effetti della pratica della disassociazione, che viola gravemente la libertà di cambiare religione e convinzione. In Norvegia, l’età legale per le religioni è di 15 anni … Per i minori battezzati a questa età, sarebbe praticamente impossibile applicare il diritto di rinuncia, quando la conseguenza è quella di perdere il normale contatto con la famiglia e gli amici, così come con i genitori, i fratelli e le altre persone del nucleo familiare quando escono di casa. Inoltre, quando raggiungeranno l’età adulta, sarà molto difficile”».

(Per altre riflessioni sulla vicenda norvegese si veda qui)

In conclusione, lasciando nel vago le procedure giudiziarie da attivare nel caso di un Testimone minorenne battezzato colpevole di gravi peccati e modificando la terminologia ufficiale (“allontanamento” al posto di “disassociazione” e “riammissione” in luogo di “riassociazione” – cf. w 8/2024, p. 27), l’Organizzazione spera di sanare la questione sorta con lo Stato norvegese; d’altra parte, i vertici geovisti non sono nuovi a queste forme di strategia, come dimostra anche la vicenda del contenzioso tra lo Stato bulgaro e l’Organizzazione.

3 – Un’altra novità, introdotta dalla rivista di cui discutiamo, riguarda il modo in cui gli anziani possono aiutare chi è stato disassociato: «La persona che è stata allontanata dalla congregazione viene forse abbandonata? … Assolutamente no! Quando informa un peccatore del fatto che sarà allontanato dalla congregazione, il comitato di anziani gli spiegherà quali passi dovrà compiere per ritornare. Ma gli anziani faranno di più. Nella maggioranza dei casi gli diranno che avrebbero piacere di incontrarsi di nuovo con lui dopo qualche mese per vedere se ha cambiato atteggiamento. … Se il suo atteggiamento non sarà ancora cambiato, continueranno a cercare di incontrarsi con lui in futuro» (w 8/2024, p. 27, par. 6). Il fatto nuovo è l’iniziativa assunta dagli anziani poco dopo l’espulsione del peccatore, mentre le procedure in vigore in precedenza prevedevano che l’espulso facesse una “richiesta scritta di riassociazione”, dopo di che la regola era: “Gli anziani staranno attenti a lasciar passare sufficiente tempo – molti mesi, un anno o anche più, a seconda delle circostanze – perché il disassociato dia prova della sincerità del suo pentimento” (Organizzati per fare la volontà di Geova, ed. 2015, p. 143, par. 34).

Anche nel caso di questa modifica procedurale si enfatizza il fattore tempo: sembrerebbe che l’Organizzazione si preoccupi di coltivare tempestivamente un altro “campo”, quello degli espulsi, per rimpinguare il numero dei fedeli, la cui crescita ristagna da un po’ di anni!

Pare che il Corpo Direttivo voglia trasmettere un generale monito a rispettare il principio espresso da Gesù e riportato in Matteo 7,1-2: “Smettete di giudicare affinché non siate giudicati, perché con il giudizio con il quale giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi” (TNM, Rev. 2017).

Pentimento

La w 8/2024, pp. 18-19, parr. 14 e 16 afferma: «Geova è misericordioso, ma non è permissivo; non transige sulle sue norme abbassando l’asticella, per così dire … In fin dei conti siamo tutti peccatori, nessuno escluso, e abbiamo bisogno del perdono di Dio»; quindi evidenzia il valore del pentimento. Lo stato di peccatore, con la conseguente manifestazione di pentimento per beneficiare della misericordia divina, deve caratterizzare anche i membri dell’odierno corpo direttivo geovista così come quelli che, nel passato, hanno dato vita ai vari “corpi direttivi” susseguitisi alla guida del movimento geovista. La nozione di “corpo direttivo” non è un monolite immutabile nel tempo e sempre uguale a se stesso; proprio perché intendiamo enfatizzare l’aspetto personale del pentimento, è utile personalizzare i diversi corpi direttivi, identificando i singoli componenti d’essi.

Tanto premesso, in diverse occasioni la letteratura geovista ha fatto accostamenti tra unti del passato (Mosè, Davide ecc.) e i contemporanei corpi direttivi; ragionando in questi termini si trascura un fatto importante: nel caso dei personaggi biblici di volta in volta citati, l’intervento divino era diretto, chiaro, incontestabile. Secondo le narrazioni bibliche, Dio operava direttamente, esprimendo il proprio punto di vista sulle questioni in cui riteneva necessario intervenire; nel caso dei vari corpi direttivi geovisti tutto questo non è accaduto. Infatti, quando un corpo direttivo non è potuto sfuggire al riconoscimento dei propri sbagli, si è giustificato affermando che la storia biblica è piena di esempi di persone prescelte da Dio, le quali pur sbagliando conservarono il favore divino e l’incarico divinamente concesso; a questo punto è immancabile il riferimento a Davide e al suo peccato con Betsabea (vedi w 8/2024, pp. 10-11). La tesi geovista è: Davide, l’unto del Signore, pur avendo commesso i gravi peccati di adulterio e di assassinio (2 Sam. capp. 11-12), non perse la posizione regale e il popolo d’Israele non fu autorizzato a ripudiare il suo re; allo stesso modo il corpo direttivo geovista, che ricopre un ruolo analogo a quello di Davide, deve continuare a comandare sui Testimoni anche se commette grossi errori dottrinali e organizzativi; infatti, sia Davide che il corpo direttivo di turno sono stati scelti da Dio!

Ma leggiamo meglio la Bibbia: dopo che Davide ebbe peccato, Dio inviò un suo profeta, Natan, a rimproverarlo; chi è la simbolica controparte moderna di Natan? Non ci risulta che un corpo direttivo abbia mai accettato inviti alla correzione provenienti dalla massa dei Testimoni, la struttura piramidale dell’Organizzazione impedisce che ciò avvenga o, comunque, che siano resi pubblici dibattiti interni alle strutture intermedie di potere (cf. La Torre di Guardia del 15 maggio 1972, p. 312). Inoltre, Davide fu severamente punito da Dio con la morte del figlio nato dalla relazione adulterina, quali gravi punizioni hanno subìto nei tempi moderni i corpi direttivi geovisti, quando hanno commesso errori ben più nocivi di quelli commessi da Davide? Quali azioni riparatrici hanno compiuto i corpi direttivi geovisti per ovviare ai propri errori? Parliamo di azioni riparatrici non di vaghi discorsi o reconditi articoli di formale pentimento (cf. Annuario dei Testimoni di Geova 1980, p. 23); espressioni di rincrescimento per le delusioni provocate dalle fallite predizioni di un corpo direttivo non costituiscono vero rammarico perché non sono accompagnate da opere degne di pentimento (Mt 3,8): si tratta di umiltà formale non sostanziale.

Dio non cambia (Mal 3,6); “il Signore corregge colui che egli ama e sferza chiunque riconosce come figlio” (Eb. 12,6; BG); perciò, se non c’è evidenza delle punizioni divine sui corpi direttivi geovisti, ciò significa che tali organi di vertice non hanno nulla della pretesa investitura divina, non guidano una prediletta “organizzazione di Geova”!

L’ovvio margine di errore, che si è manifestato in tante decisioni di questi corpi direttivi, dovrebbe indurre i singoli Testimoni di Geova ad accettare le direttive ricevute con il beneficio del dubbio; occorre valutare attentamente il “fattore umano” implicato nelle decisioni dei vari corpi direttivi susseguitisi nel tempo.

Facciamo qualche esempio concreto sulla volubilità delle direttive di questi corpi direttivi.

Quali rapporti con gli espulsi?

Con una serie di articoli pubblicati in La Torre di Guardia del 15 agosto 1952 i vertici dottrinali geovisti dell’epoca, N.H. Knorr e F.W. Franz (cf. A. Aveta, Totalitarismo mitigato, pp. 154-155), stabilirono che “la ragione per la disassociazione è che alcune persone le quali entrano in questa congregazione di Dio non amano Cristo. … La ragione per la disassociazione di alcune persone è il loro male operare” (p. 243). Quindi, commentando 2 Tess. cap. 3, la rivista diceva: «Nel caso del corpo del quale stiamo parlando, la congregazione di Dio, potrebbe significare la rimozione di una persona perché è disordinata, non essendo edificata nell’amore. … E così è dichiarato in 2 Tessalonicesi 3:13-15 (NM): “Da parte vostra, fratelli, non cessate di far bene. Ma se alcuno non è ubbidiente alla nostra parola mediante questa lettera, tenetelo segnato, smettete di associarvi con lui, affinché si vergogni. Tuttavia non lo considerate come un nemico, ma continuate ad ammonirlo come un fratello”. … Noi continuiamo a fare ciò che è giusto, senza tener conto della loro condotta, ma se continuano ad andare per la via errata essi devono essere segnati. Dobbiamo cessar di associarci con loro, perché non sono puri. Essi non operano in difesa del nome di Geova e della sua Parola. … Operano contro l’organizzazione» (cf. La Torre di Guardia del 15 maggio 1962, pp. 308-309, parr. 25-26, e La Torre di Guardia del 1° novembre 1964, p. 653, par. 14).

Quindi, Knorr e F.W. Franz si rifecero a 2 Tess. 3,13-15 per stabilire una base biblica per la disassociazione e fissarono la procedura da seguire: i Testimoni peccatori impenitenti dovevano essere espulsi e bisognava “cessar di associarsi con loro”; «Se [il disassociato] viene a tale adunanza e si mette a sedere, finché è ordinato, pensa ai fatti suoi, non abbiamo niente da dirgli. Quelli che conoscono la situazione della congregazione non gli dovrebbero dire mai “Salve” oppure “Arrivederci”. Egli non è benvenuto in mezzo a noi, lo evitiamo» (La Torre di Guardia del 15 agosto 1952, p. 249).

Inoltre, in La Torre di Guardia del 15 gennaio 1954, p. 62, rispondendo alla domanda: “Qualora un padre o una madre o un figlio o una figlia fosse disassociato, come dovrebbe essere trattata tale persona dai membri della famiglia nei loro rapporti familiari?”, Knorr e F.W. Franz disponevano che “se i figli sono maggiorenni, vi può essere una separazione e una rottura vera e propria nei vincoli familiari, perché i vincoli spirituali sono già spezzati”.

Quest’inasprimento degli effetti dell’“ordine di disassociazione” veniva accompagnato dall’esortazione a “conformarsi” a quest’ordine citando, senza alcun distinguo, i seguenti brani biblici: 2 Tess. 3,14-15; 1 Corinzi 5:9-11 e 2 Giovanni 10. Tale direttiva veniva ribadita nel manuale organizzativo del 1969, intitolato “La tua Parola è una lampada al mio piede”, dove Knorr e F.W. Franz affermavano: “Con fedeltà verso Dio, nessuno nella congregazione dovrebbe salutare tali persone [i disassociati] incontrandole in pubblico né dovrebbe accoglierle nella propria casa. Anche i parenti consanguinei che non abitano nella stessa casa, considerando di maggior valore la parentela spirituale, evitano di avere contatto con loro il più possibile” (p. 178).

Solo con La Torre di Guardia del 1° luglio 1966, p. 416, Knorr e F.W. Franz cominciarono a capire il senso di 2 Tess. 3,14-15; infatti, rispondendo alla seguente “Domanda dai lettori”: “In 2 Tessalonicesi 3:14, 15, l’apostolo Paolo considerava la disassociazione?”, i vertici geovisti ammisero: “Evidentemente no. Egli diceva alla congregazione come trattare i cristiani professanti che, sebbene non meritassero d’essere completamente espulsi dalla congregazione, non erano una buona compagnia. … Se uno che dichiarava d’essere cristiano non ubbidiva agli insegnamenti della congregazione cristiana, ma preferiva attenersi alle sue idee personali e condursi in modo da promuovere i suoi egoistici propositi, i responsabili della congregazione dovevano prender nota di quella persona, dovevano ‘tenerla segnata’. Non doveva ricevere incarichi che la ponessero alla congregazione come insegnante o come esempio perché altri la seguissero. Tale persona non sarebbe stata scelta come intimo compagno da un cristiano di mente spirituale”.

Nel 1971, con l’allargamento del numero dei membri del corpo direttivo da due (Knorr e F.W. Franz) a undici (cf. R.V. Franz, Crisi di coscienza, p. 66), per fare ulteriore chiarezza nella comprensione di 2 Tess. 3,14-15, il manuale organizzativo del 1973 intitolato Organizzazione per predicare il regno e fare discepoli (pp. 171-172) stabiliva la procedura della “segnatura dei disordinati”. Col tempo si susseguono corpi direttivi composti da altri membri e si consolida il convincimento che 2 Tess. 3,14 è una direttiva rivolta agli anziani: “Se qualcuno continuava a ignorare i princìpi della Bibbia nonostante avesse ricevuto ripetuti consigli, gli anziani potevano pronunciare un discorso per mettere in guardia la congregazione. A quel punto i singoli proclamatori avrebbero smesso di intrattenere rapporti sociali con la persona che era stata segnata” (w 8/2024, p. 7).

Ma non finisce qui; la w 8/2024, p. 7, promuove una diversa direttiva concepita dall’attuale corpo direttivo, composto da nove membri: “Il consiglio di Paolo si riferisce evidentemente a un’azione che dovrebbe essere intrapresa in alcune circostanze dai singoli cristiani. Quindi non è necessario che gli anziani pronuncino un discorso per mettere in guardia la congregazione. … Oggi, se ci accorgiamo che un nostro compagno di fede ha un atteggiamento disubbidiente di questo tipo, decideremo a livello individuale di non passare del tempo con lui in occasioni di svago. Dato che questa è una decisione personale, non parleremo della cosa con altri che sono al di fuori della nostra immediata cerchia familiare. E continueremo a stare in compagnia di quella persona alle adunanze e nel ministero”.

Distinta la posizione dei “segnati” da quella dei disassociati, nel 1974 il corpo direttivo dell’epoca incaricò un suo membro, Raymond V. Franz, di scrivere alcuni articoli sul tema del trattamento da riservare ai disassociati (R.V. Franz, Crisi di coscienza, p. 427). Quegli articoli anticiparono in qualche modo quanto è stato poi stabilito con la w 8/2024; infatti invitavano a moderare notevolmente l’atteggiamento che era prevalso fino a quel tempo, incoraggiando i Testimoni a mostrarsi più misericordiosi in molte fasi dei loro contatti con i disassociati, riducendo la rigidità delle direttive allora vigenti circa il modo di trattare i familiari espulsi: «Come indica La Torre di Guardia del 15 gennaio 1975, al paragrafo 22 dell’articolo “La misericordia divina indica la via del ritorno a quelli che hanno sbagliato”, il cristiano può salutare un disassociato che non è fra quelli descritti in II Giovanni 9-11, ma non andrebbe certo oltre una parola di saluto. La Torre di Guardia del 15 gennaio 1975, al paragrafo 24 dell’articolo “Manteniamo una veduta equilibrata verso i disassociati”, suggeriva che se non si tratta di parentele carnali, è meglio lasciare che siano gli anziani a fare ulteriori conversazioni o rivolgere esortazioni» (Il ministero del Regno di dicembre 1974, p. 4).

Tuttavia nei successivi anni Ottanta si verificarono due fatti nuovi: a) l’equiparazione dei dissociati ai disassociati; b) un inasprimento delle regole ostracizzanti (cf. La Torre di Guardia del 15 dicembre 1981 e del 1º gennaio 1982); al punto che: «Se il disassociato o dissociato è un parente che vive fuori di casa o non è dell’immediata cerchia familiare, potrebbe essere possibile non avere quasi nessun contatto col parente. Anche se eventuali questioni di famiglia richiedessero qualche contatto, è certo che questi contatti dovrebbero essere mantenuti al minimo» (La Torre di Guardia del 15 aprile 1988, p. 28).

Attualmente quali disposizioni vigono tra i Testimoni di Geova? Resta valida la regola secondo la quale i Testimoni non intrattengono “rapporti sociali” con l’espulso (w 8/2024 p. 27, par. 5). Ma cosa implicano i “rapporti sociali” da evitare con gli espulsi? Il Ministero del Regno di agosto 2002, pp. 3-4 ha chiarito: «Pertanto evitiamo anche di avere contatti sociali con chi è stato espulso. Questo significa che non staremo con lui né in occasioni come picnic, feste e partite di pallone né per andare in un centro commerciale, a teatro o a mangiare a casa o al ristorante».

Ovviamente, i vertici dottrinali geovisti hanno ripetutamente dichiarato che l’ostracismo praticato dai Testimoni sarebbe biblicamente fondato; infatti, per esempio, il volume Perspicacia nello studio delle Scritture, alla voce “Espulsione”, vol. 1, p. 870, afferma: «Con riferimento invece a coloro che erano cristiani ma che in seguito avevano ripudiato la congregazione cristiana o ne erano stati espulsi, l’apostolo Paolo comandò di ‘cessar di mischiarsi in compagnia’ di una tale persona; e l’apostolo Giovanni scrisse: “Non ricevetelo in casa e non rivolgetegli un saluto”. — 1 Co 5:11; 2 Gv 9,10». Inoltre, La Torre di Guardia del 1° gennaio 1982 poneva la domanda: «Sostenere la giustizia di Dio e il provvedimento della disassociazione da lui istituito significa che un cristiano non dovrebbe parlare affatto con una persona espulsa, non rivolgendole nemmeno un saluto?» Quindi l’articolo citava il brano di 2 Giovanni 9-11, dov’è scritto: «Chiunque va avanti e non rimane nell’insegnamento del Cristo non ha Dio. Chi rimane in questo insegnamento è colui che ha il Padre e il Figlio. Se qualcuno viene da voi e non porta questo insegnamento, non ricevetelo in casa e non rivolgetegli un saluto. Poiché chi gli rivolge un saluto partecipa alle sue opere malvage» (TNM). Le parole di Giovanni sono state interpretate dai vari corpi direttivi come escludenti ogni comunicazione con gli espulsi dall’Organizzazione, non consentendo neanche un semplice saluto. Tuttavia, ad un esame accurato, il passo biblico citato non sostiene la pretesa geovista.

Innanzitutto, va osservato che è in discussione “l’insegnamento del Cristo”, non l’insegnamento di un movimento religioso. La prima epistola di Giovanni mostra che, ad avviso dell’agiografo, tale insegnamento era centrato sulla fondamentale confessione di fede che Gesù era il Cristo di Dio (I Giovanni 2,22-23.29; 3,23; 4,2-3; 5,1-5). Non si richiedeva la fede in un complesso di “insegnamenti unici”, sviluppati secoli dopo da qualche movimento religioso – come quello geovista – né l’osservanza di un complicato insieme di direttive impartite da gruppi dirigenti spesso in contraddizione tra loro.

Differenze di opinioni su insegnamenti di secondaria importanza non avrebbero costituito motivo di dissidi e separazioni, con l’espulsione di alcuni e il loro ostracismo da parte della fratellanza. La Torre di Guardia del 15 dicembre 1981, p. 20, tenta di minimizzare su ciò, relegando le questioni discutibili a “questioni irrilevanti che riguardano opinioni, gusti o fattori di coscienza”. In tal modo si ignora il contesto che mostra come l’Apostolo specificasse tali questioni come il cibarsi di certi alimenti e l’osservanza di certi giorni ritenendoli santificati (Romani 14,2-23). Queste non erano affatto questioni “irrilevanti”, specialmente per i credenti giudei. Credere che “mangiare di tutto” (v 2) potesse includere il cibarsi di alimenti offerti agli idoli o di carne suina, costituiva questione di grande serietà per i cristiani d’origine giudaica. Da ciò si comprende che alcuni stavano, in realtà, criticando la posizione di altri dinanzi a Dio sulla base di tale argomentazione, il che sarebbe stato molto inverosimile se, come vorrebbe far credere La Torre di Guardia, si fosse trattato di semplice questione di “gusti”, come accade nell’occasionale scelta di cibi nella società moderna, il che non ha nulla a che fare con gli scrupoli religiosi (cf Levitico 11,7-8; Isaia 66,17; 1 Corinzi 8,7-13); La Torre di Guardia del 15 maggio 1978 conteneva un esame del capitolo 14 di Romani, che esponeva la serietà dei problemi implicati. Articoli successivi hanno semplicemente ignorato le prove presentate in quel contesto. L’osservanza di certi giorni (vv 5-6), come il sabato, era un aspetto cruciale dell’adorazione giudaica, e la violazione del riposo sabatico era considerato uno dei peccati più gravi. I giudei convertiti al cristianesimo non si sarebbero accontentati facilmente di considerarlo “un giorno come tutti gli altri”. Eppure, nonostante le differenze di opinione su tali serie materie, veniva formulata l’esortazione a non rifarsi ad esse per criticare le vedute altrui, e a non permettere che tali differenze divenissero motivo di scismi. Le interpretazioni degli ideologi geovisti non tengono in alcuna considerazione il consiglio apostolico.

Quindi, nessuna di queste differenze di opinione o intendimento è implicata nella descrizione dell’apostolo Giovanni relativa a chi “non rimane nell’insegnamento del Cristo”. Per giunta, il commento di La Torre di Guardia, riguardante il contesto dell’esortazione giovannea, non è conforme alla realtà dei fatti. Si noti, infatti, la discussione relativa alla parola “saluto”, contenuta in questo brano dell’epistola giovannea, così come viene presentata in La Torre di Guardia del 15 luglio 1985, p. 31: «Giovanni aggiunse: “Poiché chi gli rivolge un saluto partecipa alle sue opere malvage”. (II Giovanni 11) Qui, parlando del saluto, Giovanni usò il termine khàiro anziché aspàzomai, che si trova al versetto 13. Khàiro significa rallegrarsi. (Luca 10:20; Filippesi 3:1; 4:4) Era anche impiegato nei saluti fatti a voce o per iscritto. (Matteo 28:9; Atti 15:23; 23:26) Aspàzomai significa “abbracciare e, pertanto, salutare, dare il benvenuto”. (Luca 11:43; Atti 20:1,37; 21:7,19) Entrambi potevano essere forme di saluto, ma aspàzomai poteva implicare qualcosa di più di un semplice “ciao” o “buon giorno”. Ai settanta discepoli Gesù disse di non aspàzomai nessuno. In tal modo indicò che a causa dell’urgenza della loro opera non potevano salutare la gente secondo la consuetudine orientale, con baci, abbracci e lunghe conversazioni. (Luca 10:4) Pietro e Paolo esortarono: ‘Salutatevi [aspàsasthe] gli uni gli altri con un bacio d’amore, con un santo bacio’. — I Pietro 5:14; II Corinti 13:12,13; I Tessalonicesi 5:26. Per cui forse Giovanni usò intenzionalmente khàiro in II Giovanni 10,11 anziché aspàzomai (versetto 13). In tal caso Giovanni non stava semplicemente esortando i cristiani a fare a meno di salutare in modo affettuoso (con un abbraccio, un bacio e conversando) colui che insegnava cose false o aveva ripudiato la congregazione (colui, cioè, che aveva apostatato). Piuttosto, diceva di non salutare una persona del genere nemmeno con khàiro, un semplice “buon giorno”».

La Torre di Guardia cerca di attribuire al termine aspazomai un particolare calore nel saluto, che lo distinguerebbe da quello indicato con la parola khairo, usata nella seconda epistola di Giovanni. Da ciò si dedurrebbe che khairo, indicando un saluto meno “caloroso” di aspazomai, si riferirebbe a saluti più formali, superficiali, compreso un semplice “ciao”. In tal modo è possibile vietare ogni comunicazione verbale con chi è stato disassociato.

Chiunque abbia scritto questo commento (spiegazione, peraltro, ripetuta in La Torre di Guardia del 15 aprile 1988) ha evidentemente trascurato o ignorato il racconto di Luca 1,28-29. Infatti, nel racconto di Luca leggiamo le seguenti parole dell’angelo di Dio in visita a Maria: «Entrando da lei, disse: “Ti saluto (greco, khaire), o piena di grazia, il Signore è con te”. A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto (greco, aspasmòs)» (Luca 1,28-29, BG). Ovviamente in questo contesto le due parole sono usate in modo interscambiabile. Luca usa il termine aspasmòs come sinonimo della parola khaire, pronunciata dall’angelo. Ciò non implicò che l’angelo avesse, secondo la tesi della Torre di Guardia, “stretto tra le braccia” la donna o l’avesse baciata, tantomeno che egli si fosse intrattenuto in una “lunga conversazione” con Maria. Nel contesto ci si riferisce, non ad un abbraccio o ad un bacio, ma alle “parole” di lui. Al verso 40 si usa nuovamente una forma di aspazomai con riferimento al “saluto” rivolto da Maria ad Elisabetta, ma, ancora una volta, si tratta di un saluto verbale giacché il verso 41 dice che Elisabetta “udì” il saluto, non ricevette qualche caloroso abbraccio o bacio.

Non solo gli “eisegeti” geovisti commettono quest’errore, ma omettono pure di riconoscere che il verbo greco khairein, adoperato da Giovanni, non si riferisce a qualche semplice saluto come un “ciao”; non si tratta di un saluto meno “caloroso” di quello espresso dall’altro termine greco in discussione (aspasmòs). Al contrario, il verbo khairein letteralmente significa “essere esultanti” e corrisponde alla parola ebraica shalom, che significa “la pace sia con te”. Esso si usava per esprimere non un semplice saluto formale, ma per manifestare favore personale e accoglienza sociale, perfino per indicare il riconoscimento di un’autorità. Il formale saluto romano, “ave, Cesare”, viene infatti reso in greco con khaire kaisar, e i soldati usarono beffardamente quest’espressione apostrofando Gesù come “re dei giudei” in Matteo 27,29. Riconoscendo questo fatto, alcune versioni, piuttosto che renderlo come se fosse un semplice “saluto”, lo traducono come “benvenuto” (si veda 2 Giovanni 10 in New International Version, New English Bible, New Revised Standard Version); cogliendo correttamente il senso delle parole di 2 Giovanni 10, TILC traduce: «voi non dovete accoglierlo né dargli il benvenuto [non lo assecondate in alcun modo, Living Bible]. Chi lo accoglie volentieri si rende complice delle sue imprese malvage».

Evidentemente, quindi, un cristiano nega a un “anticristo”, non una semplice espressione di saluto – del tipo “ciao” o “come va?” – ma espressioni implicanti accoglimento e accordo con le sue opinioni, augurandogli successo e favore. Dargli il “benvenuto” in questo modo implicherebbe “partecipare alle sue opere malvage”. Diversamente, il semplice rivolgere la parola a una persona non implica, di per sé, accettazione, accordo o favore nei suoi confronti; questi ultimi dipendono da ciò che uno dice. Ovviamente non si diventa partecipi delle opere malvagie di qualcuno, se si cerca di confutare le sue idee o di parlargli a causa dei suoi errati convincimenti, al fine di persuaderlo dell’erroneità delle sue opinioni. Anzi, la Scrittura dimostra che questo dovrebbe essere un impegno per il cristiano (cf Giacomo 5,19-20; 2 Timoteo 2,24-26; Tito 1,10-13).

Nonostante ciò, la w 8/2024 stabilisce categorie diverse di disassociati: una ai quali gli anziani, fin da pochi mesi dopo la disassociazione, possono fare visita per esortarli al pentimento; un’altra, cui il corpo direttivo attuale (a differenza di quanto altri corpi direttivi hanno fatto in passato) applica esplicitamente i brani biblici di 2 Gv. 10,11 e 1 Corinti cap. 5, composta da chi “si era resa colpevole di abusi su minori o di apostasia, o se aveva tramato per porre fine a un matrimonio”; ai componenti di quest’ultima categoria “gli anziani non faranno visita” (p. 31). Quindi, per questa seconda categoria permane l’ostracismo e l’isolamento sociale più completo; per chi rientra nella prima categoria, pur non intrattenendo rapporti sociali con lui, “sulla base della loro coscienza educata secondo la Bibbia, i cristiani possono decidere se invitare o meno ad assistere a un’adunanza una persona allontanata, forse un familiare o qualcuno con cui avevano un’amicizia. Come dovremmo comportarci se venisse all’adunanza? In passato non l’avremmo salutata. … Alcuni potrebbero sentirsi a proprio agio nel salutare la persona o nel darle il benvenuto. Comunque, non ci metteremmo a fare una lunga conversazione né intratterremmo rapporti sociali con lei” (pp. 30-31).

Conclusione

Quindi, il corpo direttivo attuale, come quelli che l’hanno preceduto, è caratterizzato dall’attitudine a condizionare in modo pervasivo la vita privata e sociale di ogni aderente: le pubblicazioni della Società Torre di Guardia attribuiscono sistematicamente sentimenti negativi – quali orgoglio e ribellione – alle persone che dissentono dall’ideologia e dalle direttive del Movimento. I singoli Testimoni di Geova sono tenuti ad attenersi alla presunzione di fondo che, «se qualcuno è disassociato, allora deve aver avuto un cuore veramente cattivo e/o dev’essere stato deciso a perseguire una condotta che disonora Dio» (La Torre di Guardia del 15 giugno 1983, p. 31). Perciò, i Testimoni di Geova devono adottare una posizione in­transigente nei confronti di chi dissente su aspetti della loro ideologia, perché così vogliono i vertici dottrinali, ed è solo su questi ultimi che ricade la responsabilità della divisione delle famiglie in tutti i casi di conflitti domestici dipendenti dall’ostracismo e dall’isolamento sociale. Le sofferenze emotive che questi causano sono incalcolabili. Ogni Testimone di Geova che lascia il Movimento per motivi di coscienza, lo fa nella dolorosa consapevolezza di essere bollato come eretico, non più degno che altri Testimoni si associno a lui, divenendo uno che perfino i membri della sua famiglia devono considerare un “fuori casta”. Solo una persona insensibile ai sentimenti umani può pensare che tutto ciò non provochi alcun danno emotivo.

La finalità di questo scritto è ben espressa da una massima di Noam Chomsky: «La vera istruzione è insegnare alla gente a pensare da sola».

Achille Aveta

Luglio 2024

2 commenti su “Misericordia o ambiguità?”

  1. Buongiorno gent.mo Prof. Achille,
    premetto che da ex aderente, vissuta per ca. 37 anni nel contesto settario geovista, la stimo molto ed apprezzo veramente i suoi scritti e l’impegno concreto da lei profuso alla causa.
    L’Avv. ************, che lei conosce e col quale sono in contatto costante (mi ha parlato aulicamente di lei e regalato il suo recente libro “Totalitarismo mitigato”), è un mio carissimo amico.
    Unendomi nella divulgazione di queste sue idonee ed opportune considerazioni critiche, nonché di altri suoi illuminanti scritti, ed augurandole sereno proseguimento, la saluto cordialmente.
    Lara

  2. Io ho fatto parte della “Congregazione” perfino qualche anno in più di Lara, per 50 anni, cioè da ragazzino (Proverbi 22:6 docet) e purtroppo Achille (mi sento di dargli del tu anche pubblicamente, se lo consideravo un fratello spirituale tanti anni fa a maggior ragione lo considero tale adesso) ha perfettamente ragione su tutta la linea. Riconosco che la mancanza di vero interesse per la conoscenza vera e profonda della Bibbia unita alla continua indiretta esortazione da parte del Corpo Direttivo a rimanere “nell’ignoranza”, cioè a non approfondire mai fonti esterne alla TG realizzano una perfetta “frittata”, permettendo che interpretazioni della Scrittura basate sull’ignoranza possano essere vendute alle congregazioni come unici oracoli di verità in un mondo pieno di bugiardi ispirati dal Diavolo. Grazie quindi al coraggio e alla determinazione di persone come Achille e altri che lavorano sodo per smascherare il tutto

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