Perché “setta” no e “apostata” sì?

Perché i Testimoni di Geova e i loro epigoni si risentono, quasi offesi, quando il movimento della Torre di Guardia viene definito “setta”? Queste reazioni appaiono eccessive, se si considera che la nozione di “setta” è ben nota ai vertici geovisti, i quali l’hanno talvolta adoperata nella loro letteratura; infatti l’organo ufficiale dei Testimoni di Geova La Torre di Guardia, nell’edizione del 15 marzo 1998, pp. 10-11, attestava: «Una definizione di “setta” è “gruppo di persone che seguono una particolare dottrina o un capo”. Similmente, quelli che appartengono ai cosiddetti “culti” hanno “grande devozione per una persona, idea o cosa”. In effetti i membri di qualsiasi gruppo religioso che hanno un forte attaccamento a capi umani e alle loro idee rischiano di diventare schiavi di uomini. Un forte rapporto di dipendenza da un leader può creare una pericolosa sudditanza emotiva e spirituale. Il rischio aumenta quando l’individuo viene allevato dall’infanzia in un’atmosfera settaria». In realtà, questa definizione appare alquanto riduttiva e serve sostanzialmente a portare alla seguente conclusione: «Molte di queste sette possono giustamente considerarsi culti, visto che idoleggiano certi capi carismatici e seguono i loro insegnamenti anziché la Parola di Dio, la Bibbia. … le cosiddette religioni tradizionali non sono null’altro che false sette mascherate da vero cristianesimo» (citazione da Svegliatevi! dell’8 gennaio 1988, p. 27; il carattere corsivo è aggiunto).

Rispetto a quella proposta dal geovismo, autorevoli sociologi offrono una più puntuale definizione tecnica di “setta”; infatti il sociologo Enzo Pace dell’Università di Padova ha precisato: «In linea generale si definisce setta un’organizzazione socio-religiosa formatasi per separazione rispetto a una tradizione religiosa storicamente consolidata. [I tratti costitutivi di una setta] possono essere ricondotti a quattro aspetti fondamentali che, nell’ordine, riguardano a) l’alterazione dei confini di una determinata credenza religiosa; b) la costituzione di un nuovo principio di autorità; c) la ricerca di condotte di vita che marchino la radicalità della scelta religiosa che si intende compiere; d) la temporanea o definitiva fuoriuscita dal “mondo”, cioè, simbolicamente, dai comportamenti ritenuti normali in un certo ambito sociale, e dal complesso delle istituzioni (modelli di famiglia, sistema scolastico, Stato) che regolano una comunità umana» (Enzo Pace, Le sette, Bologna 1997, p. 11; il testo tra parentesi è aggiunto). Per giunta, il sociologo Bryan R. Wilson, già docente all’Università di Oxford, ha evidenziato alcune specifiche caratteristiche come settarie: l’esclusività, ossia non si ammette una doppia appartenenza; il monopolio della “verità”, di cui gli altri non godono; un’organizzazione “laica”; l’asserita assenza di status privilegiati; la libera scelta di adesione; rigide norme di comportamento, la cui violazione implica l’espulsione; la pretesa di un’obbedienza e dedizione totali (Bryan R. Wilson, La religione nel mondo contemporaneo, Bologna 1985, pp. 113 ss.). Pure significativa è la definizione di setta dello psicologo Michael D. Langone: «Un gruppo o movimento che mostra una dedizione grande o eccessiva devozione a qualche persona, idea o altra cosa, mediante tecniche manipolative non etiche di persuasione e di controllo (quali per esempio l’isolamento da ex amici e familiari, debilitazione, uso di metodi per aumentare la suggestionabilità e la sottomissione, potenti pressioni di gruppo, gestione delle informazioni, sospensioni del giudizio e della propria individualità, promozione della totale dipendenza dal gruppo e della paura di lasciarlo o di esserne abbandonati, ecc.) progettato per far avanzare gli obiettivi dei leader» (cit. in Marco Marzari e Lorita Tinelli, Sette e manipolazione mentale, Milano 2023, p. 55).

Da questi riferimenti al concetto di setta, quando se ne parla in termini tecnici si rimanda a un gruppo formatosi per separazione rispetto a una tradizione religiosa consolidata storicamente; i tratti costitutivi di una setta possono essere così riassunti: esplicito rifiuto di determinate credenze; accettazione di un nuovo principio di autorità; ricerca e applicazione di modelli di vita connotanti la radicalità della scelta religiosa adottata; approccio critico al mondo con i suoi comportamenti “normali” e tendenziale diffidenza nei confronti del complesso di istituzioni che regolano un certo ambito sociale. Emerge, quindi, che il conflitto è connaturato alla genesi di una setta; tale conflitto può sorgere da questioni dottrinarie o da problemi legati al principio di autorità, cioè al tema dell’esercizio “legittimo” del potere di interpretazione autentica di un dato sistema di credenze. In definitiva una setta nasce quando si fa strada il convincimento che si possa trovare la pura “verità” religiosa solo separandosi da un contesto nel quale le religioni preesistenti appaiono svuotate di senso, colme di rituali formali ritenuti inutili; per contrasto i “settari” si aggregano attorno a un “fondatore” la cui prioritaria intenzione è raccogliere una comunità di santi, puri, prescelti incaricati di svolgere un vitale ruolo salvifico a beneficio dell’intera umanità, possibilmente.  

In base a questa più articolata accezione, il movimento dei Testimoni di Geova soddisfa i requisiti per rientrare nella categoria sociologica di “setta” (come peraltro ampiamente documentato in A. Aveta, Totalitarismo mitigato, Napoli 2021 e nel recente AA.VV., Profili di marginalità sociale: il caso dei Testimoni di Geova, Napoli 2025). D’altra parte, anche Massimo Introvigne, dell’Università Pontificia Salesiana di Torino, ha riconosciuto che quella dei Testimoni di Geova è una «setta … che costituisce nella sua struttura un seminarium e un modello di organizzazione totalitaria basata su credenze millenaristiche, con la pretesa di crescere e di imporsi al mondo attraverso il continuo aumento dei “convertiti”» [M. Introvigne, “I Testimoni di Geova: un profetismo gnostico” in Quaderni di Cristianità (anno I, n°1) primavera 1985, p. 38].

Assodato, quindi, che il movimento dei Testimoni di Geova può rientrare a pieno titolo nel novero delle sette religiose, passiamo ora all’altro tema evidenziato nel titolo di questa pagina: l’apostasia.

L’apostasia cui ci riferiamo è quella che definisce una specifica forma di congedo da un’organizzazione religiosa; questa accezione tiene conto della gradualità del processo di apostasia che si caratterizza come l’esito di un percorso di decostruzione dell’impegno che si sviluppa su più piani: quello sociale dell’appartenenza, quello intellettuale della credenza e quello emotivo del sentire.

La letteratura geovista e gli epigoni esterni al Movimento son soliti esprimere posizioni che dipingono le narrazioni degli apostati come semplici invenzioni, menzogne astiose, alimentate dal pregiudizio, nutrite dal risentimento; queste posizioni conducono a identificare nei devoti membri del Movimento la sola fonte affidabile, sulla quale basare la ricostruzione del profilo del gruppo geovista. Ma queste generalizzazioni rendono giustizia all’onestà intellettuale di chi le formula, specie se costoro si qualificano come studiosi? In definitiva, quale valore si può attribuire alle esperienze degli apostati?

Sulla credibilità degli ex affiliati in genere, il sociologo Stephen A. Kent dell’Università dell’Alberta ha scritto: «Io ho intervistato un numero incalcolabile di persone che sono fuoruscite da gruppi ad alto controllo; essi hanno controllato vari pezzi dattiloscritti della loro storia prima che fosse pubblicata e mi hanno fornito milioni di pagine di documenti. La mia carriera e la mia borsa di studio, sarebbero stati notevolmente limitati senza di loro. … Il rifiuto totale delle ’testimonianze’ di ex membri non appartiene alla scienza sociale … La cosa che dovrebbe importare nelle scienze sociali è che i ricercatori ottengano informazioni accurate in modo deontologicamente corretto. Indipendentemente da chi le fornisce, gli scienziati sociali semplicemente devono tentare di verificare il contenuto e confrontarlo con le informazioni che gli altri forniscono o che i ricercatori hanno ottenuto in altri modi, un processo chiamato triangolazione. Quanto più fonti indipendenti indicano gli stessi fatti, maggiore è la probabilità che i fatti siano precisi.» (Stephen A. Kent, La storia degli attacchi alla credibilità degli ex membri, pubblicato su https://fecris.org/wp-content/uploads/2015/05/Kent-IT.pdf )

A proposito della validità delle testimonianze dei fuoriusciti dai Testimoni di Geova, è condivisibile la valutazione espressa da Massimo Introvigne il quale, a proposito di Raymond Victor Franz (ex membro del Corpo Direttivo mondiale del movimento geovista dal 1971 al 1980), ha scritto: «Raymond Franz è dunque nei confronti dell’organizzazione dei Testimoni di Geova un “apostata”, nel senso tecnico in cui questo termine viene attualmente utilizzato dai sociologi della religione che studiano le sette, senso che non implica alcuna valutazione morale negativa oppure positiva. Sorge, allora, un quesito preliminare di carattere metodologico: è lecito usare la testimonianza di un “apostata” …, verosimilmente influenzato da un certo risentimento personale, in un accostamento al tema che vorrebbe essere scientifico? … Affrontando l’argomento degli “apostati” si devono probabilmente evitare due eccessi: da una parte, fondare lo studio scientifico di una setta sulla sola testimonianza dei membri che l’hanno lasciata; dall’altra, eliminare completamente e per principio tutte queste testimonianze. Il criterio scientifico con cui esaminare le testimonianze degli ex-membri delle sette dovrà allora essere simile al criterio giuridico con cui si esaminano le confessioni nel processo penale …: un esame rigorosamente critico della testimonianza, e la sua verifica su altre fonti, principalmente sui documenti che emanano dal gruppo stesso (in questo caso la setta) contro cui la testimonianza è diretta. Se applichiamo questo criterio dovremo allora certo rigettare certi resoconti a sensazione … Ma potremo anche serenamente accettare molte testimonianze articolate e intelligenti di ex-membri di sette. E potremo perfino considerare privilegiate testimonianze come quella di Raymond Franz, che non è stato solo un membro ma uno dei massimi dirigenti dei Testimoni di Geova. … [Raymond Franz] lascia meno spazio all’elemento personale e … inserisce nel suo testo molti documenti la cui autenticità non è stata finora contestata neppure dagli stessi Testimoni di Geova» (M. Introvigne, “La crisi degli anni Ottanta alla sede centrale di Brooklyn” in AA.VV., Cristo nostro Dio e nostra speranza: i cristiani di fronte ai Testimoni di Geova, Leumann 1986, pp. 80-82).

Quindi, dati i presupposti indicati, ci si può fidare delle narrazioni degli apostati in quanto strumento per la ricostruzione dell’esperienza vissuta dai narratori, sul piano epistemico le narrazioni di apostasia non si distinguono in alcun modo dalle altre narrazioni autobiografiche comunemente impiegate nella ricerca sociale: si tratta di narrazioni consapevolmente critiche, redatte da soggetti che hanno riflessivamente vagliato la propria vicenda biografica e che la testimoniano pubblicamente, non di rado animati da spirito di servizio nel disvelamento di realtà ben mimetizzate ai loro ex confratelli. Si tratta, perciò, di valutare la coerenza interna di ciascuna testimonianza e la consistenza fra le narrazioni dei diversi soggetti, oltre al supporto dei documenti ufficiali del Movimento.

Dal punto di vista degli affiliati, l’apostasia è un episodio di rottura, che infrange le aspettative della comunità e che viene percepito come minaccia all’unità del gruppo. Infatti, spesso ciò che per i Testimoni di Geova è una manifestazione dell’amore cristiano è tradotto dai racconti degli apostati in termini sociologici, in un registro tecnico che ne fa perdere la connotazione religiosa precedentemente conferita; è qui che insistono e si raccolgono le voci dissonanti: la voce del Corpo Direttivo, la voce dell’apostata, quella degli altri membri e, infine, quella degli esperti. L’apostasia comporta una secolarizzazione dell’Organizzazione, un nuovo modo di guardare il sistema “teocratico” geovista, che è ora visto come una struttura sociale fallibile e corrotta: dal punto di vista dell’apostata, la nuova “identità” dell’Organizzazione consiste nel disvelamento di ciò che essa è sempre stata, ma che è stato accuratamente occultato; i giudizi critici degli apostati verso la leadership del gruppo di precedente appartenenza sono spesso connessi a una presa di coscienza, a una sorta di “risveglio” sulla vera natura dell’Organizzazione, che equivale alla scoperta di una sorta di disonestà intellettuale perpetrata ai loro danni. L’apertura di questo spazio riflessivo è accompagnata da un radicale mutamento delle strategie di fronteggiamento del conflitto fra le attese che avevano sorretto la scelta di conversione e l’esperienza vissuta, che tende a non corrispondervi anche per effetto della politica dei vertici geovisti nei confronti del dubbio: la demonizzazione del dubbio e la qualificazione dell’apostata come “nemico, agente di Satana” fanno sì che chi subisce questa forma di ostracismo reagisca ridefinendo l’immagine di coloro che lo pongono ai margini e del legame che intratteneva con loro. Questi episodi di rottura portano alla disillusione, al dissidio e alla decisione di lasciare il gruppo di appartenenza.

In questo contesto, l’apostasia costituisce l’esito inevitabile di un processo di maturazione delle proprie riserve critiche e di riconoscimento dell’errore compiuto nel non dare ad esse il rilievo dovuto. Anche il testo biblico diventa il terreno di scontro fra due punti di vista ormai irriducibili e divergenti; il paradosso consiste in questo: i Testimoni di Geova richiamano costantemente nella mente dei loro affiliati la necessità di uno “studio sistematico” delle Sacre Scritture, tuttavia, quando un associato acquista una buona familiarità con il testo biblico e diventa potenzialmente capace di valutare in modo autonomo la qualità dell’insegnamento ricevuto, dar voce alle proprie conclusioni diventa un atteggiamento apostata, un atto spesso difficile da compiere: significa esprimere pubblicamente il carico emotivo che connota la vicenda che egli sta vivendo, ma anche schierarsi apertamente contro la leadership.

«Benjamin Beit-Hallahmi, professore di Psicologia presso l’Università di Haifa afferma: “Recenti e meno recenti catastrofi causate dalle sette ci aiutano a comprendere come in ogni caso le testimonianze di coloro che vengono definiti critici o detrattori siano state vicino alla realtà più di qualsiasi altro racconto. Fin dalla tragedia di Jonestown, le affermazioni degli ex membri si sono rivelate più accurate di quelle di apologeti e dei ricercatori sui Nuovi Movimenti Religiosi» (Marco Marzari e Lorita Tinelli, Sette e manipolazione mentale, Milano 2023, p. 147; il carattere corsivo è aggiunto).

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