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Dottrina
Senza dubbio, in nome della “religione” si fanno molte cose criticabili, è opportuno quindi che ciascuno esamini la propria religione; quest’invito è rivolto in questa sede soprattutto ai Testimoni di Geova.
Gesù biasimò coloro che pretendevano di servire Dio ma che confidavano sostanzialmente nelle tradizioni umane: «Il modo con cui mi onorano non ha valore, perché insegnano come dottrina di Dio comandamenti che son fatti da uomini» (Matteo 15,9; TILC). Il fatto che i Testimoni di Geova adoperino con molta frequenza la Bibbia non prova di per sé che tutto ciò che essi insegnano abbia un solido fondamento scritturale. Un’equilibrata indagine deve tendere a dimostrare se gli insegnamenti del geovismo siano in piena armonia con la Parola di Dio o se, piuttosto, si basano sulle tradizioni accettate o inventate da alcuni loro capi “carismatici”. Come affermano gli stessi Testimoni di Geova: «Se amiamo la verità, non c’è nulla da temere da tale esame. Ognuno di noi dovrebbe avere il desiderio di apprendere ciò che è per noi la volontà di Dio, e quindi metterla in pratica» (citazione dal volumetto La Verità che conduce alla vita eterna, Brooklyn 1968, p. 13).
L’apostolo Paolo istruì Timoteo dicendogli: «Non aver fretta quando scegli qualcuno per un incarico nella comunità mediante l’imposizione delle mani, altrimenti sarai responsabile anche dei suoi peccati. Conservati puro» (1 Timoteo 5,22; TILC). Applicando questo principio al geovismo, possiamo serenamente asserire che, se i singoli Testimoni di Geova riconoscono al loro Corpo Direttivo il potere d’agire in un incarico di responsabilità, al quale essi attribuiscono un elevato potere e grande influenza sulle proprie vite, allora debbono pure condividere la responsabilità per gli errori che il Corpo Direttivo commette in tale incarico.
Invece, l’insegnamento confessionale geovista induce inevitabilmente ad avere una particolare forma mentis. Il geovismo insegna che nella “chiesa” tutti i credenti sono uguali in quanto a dignità di fronte a Dio; tutti i Testimoni sono “ministri” nei confronti del mondo. Eppure per lo stesso geovismo il “popolo di Dio” è diviso esplicitamente in due categorie: i 144.000 unti per un’elezione celeste particolare, tra i quali eccellono i membri del Corpo Direttivo, e la “grande folla” di Testimoni di Geova candidati alla vita eterna su una futura terra paradisiaca.
È chiaro che i Testimoni di Geova crescono con in mente tale divisione e porteranno sempre nella loro vita, volenti o nolenti, quest’immagine della “chiesa” dove il Corpo Direttivo sa tutto, dirige tutto, governa su tutti e toglie alle persone la loro diretta responsabilità di fronte a Dio. Basta parlare con un Testimone per rendersi conto di quanto poco questi si senta responsabile di fronte al suo Creatore: egli si sente più responsabile di fronte al Corpo Direttivo che non a Dio.
La presunzione e l’arroganza non si addicono alla teologia. Pertanto la prerogativa geovista di “possedere la verità” dovrebbe essere sostituita da un’attitudine più modesta: quella di “essere ricercatori della verità insieme ad altri”. La presunzione di “essere l’unica vera religione” andrebbe ridimensionata con l’atteggiamento di “sforzarsi di essere una corretta espressione del corpo di Cristo”.
Purtroppo il manicheismo geovista risulta confortante perché dà ai singoli Testimoni la “sicurezza” di essere dalla parte della Verità. Quest’atteggiamento geovista spiega anche il modo in cui la versione biblica adottata dai Testimoni (la Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture [TNM]) rende il senso della parabola del fariseo e del pubblicano (Lc 18,9-14).
Questa parabola, stupenda nella sua linearità, parla di un fariseo che si ritiene completamente giusto e che disprezza tutti gli altri uomini come peccatori, infedeli e devianti. A questo fariseo Gesù oppone un pubblicano profondamente umile, desideroso di perdono. Il giudizio del Cristo è lapidario: il pubblicano «tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato» (Lc 18,14; BG). Ma l’incisiva e sconcertante radicalità di questa parabola di Gesù non piace al Corpo Direttivo geovista, pertanto la TNM modifica il giudizio finale di Gesù dando ad intendere che sia il fariseo che il pubblicano sarebbero stati giustificati da Dio. Infatti, confrontando la TNM con la Interlinear Translation, edita dalla Società Torre di Guardia, si nota in italiano un comparativo che non si trova in greco (v. 14); questa aggiunta altera il senso: «Io vi dico che, quando se ne tornò a casa, quest’uomo (il pubblicano) era più giusto del fariseo» (TNM). Traducendo in tal modo, la TNM giustifica anche il fariseo, che vanta se stesso e biasima gli altri (v. 9), proprio come fanno i Testimoni di Geova quando si confrontano con le altre fedi.